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26 Gennaio 2006

Elezioni palestinesi: rischi e promesse di una svolta

Autore: Bernardo Valli
Fonte: la Repubblica
Il partito islamista armato, Hamas, dedito alla guerriglia e al terrorismo,
entra per la prima volta nel nuovo Parlamento palestinese. E sembra che vi entri
in forza, stando ai primi dati, ancora incerti, delle elezioni. Questo significa
comunque la fine del monopolio del potere politico di Al Fatah. Il quale resta
la prima formazione, ma ridimensionata dall´irruzione di Hamas sulla ribalta
ufficiale. Non c´è stato il paventato sorpasso di Hamas. Questo no. Ma lo spazio
politico deve essere adesso condiviso.

Dopo avere girato le spalle (con l´eccezione di qualche frangia estremista)
al kalashnikov e ai kamikaze, il vecchio partito di Arafat è da più di un anno,
in seguito alla morte del rais fondatore, pronto al dialogo e al compromesso con
Israele, Nel futuro dovrà convivere nelle fragili istituzioni palestinesi con
Hamas, pronta ad assumere responsabilità politiche ma non disposta ad
abbandonare le armi.

Questo arrivo sulla scena ufficiale di Hamas è un svolta in egual misura
rischiosa e promettente. La corrente islamica violenta accetta per la prima
volta di partecipare al processo politico, insieme a forze che riconoscono
Israele, pur continuando a proporsi la distruzione di Israele. A proporsela non
come programma immediato ma lasciandola, come un dogma, un obiettivo finale, nel
suo statuto. È una posizione accettabile? Il rischio è che gli argini del
processo politico vengano travolti. Ma può essere anche un primo passo verso
propositi migliori. La conversione di Al Fatah è avvenuta a tappe, via via che
il processo politico avanzava.
Quando si à arrestato ha prevalso di nuovo la violenza. Come far tacere
altrimenti le armi, se non attirando le forze estremiste in un processo
politico? Come spegnere altrimenti il terrorismo, dopo quarant´anni di
repressione, inefficace sul piano militare e inquinante sul piano morale? L´uso
della democrazia potrebbe rivelarsi più utile dei carri armati. È quel che ha
pensato il coraggioso Mahmud Abbas, presidente dell´Autorità palestinese,
indicendo elezioni destinate comunque a ridimensionare il potere di Al Fatah, il
suo partito.
Sempre stando ai dati parziali, mentre lo spoglio dei voti è in corso, Al
Fatah potrebbe essere nelle condizioni di formare un governo con le piccole
formazioni (ce ne erano nove in gara, oltre ad Al Fatah e a Hamas), ma è assai
probabile che si arrivi a un governo di coalizione. E che quindi il partito
islamico armato entri nell´esecutivo. Molti grideranno in tal caso allo
scandalo. Presenteranno l´avvenimento come un´altra catastrofica tappa nel
dramma mediorientale. E in effetti l´invocato dialogo sarà molto più difficile,
o addirittura impossibile nell´immediato futuro, se l´israeliano Ehud Olmert,
provvisorio successore di Ariel Sharon, dovesse avere come interlocutore un
Mahmud Abbas con al fianco o alle spalle i dirigenti di Hamas. Non si accetta
facilmente di trattare con terroristi che si propongono, come un dogma, di
distruggerti.
Alle elezioni israeliane di marzo, la destra radicale del Likud, guidata da
Benjamin Netanyahu, avrà buoni argomenti per recuperare i voti virtuali che
Ariel Sharon, il falco convertito al compromesso, stava per spostare verso un
centro moderato o possibilista.
Ma in questa occasione vale la pena ricordare come il primo ministro Rabin
rispondeva nel ´93 a chi gli rimproverava di essere venuto a patti (firmando gli
accordi di Oslo) con i terroristi. Il generale, che avrebbe pagato quel suo
gesto con la vita, ripeteva da vecchio militare che i negoziati per un
armistizio o per la pace si avviano con i nemici. «Dovrei forse trattare»,
diceva, «con la regina d´Inghilterra?». Promuovendo le elezioni legislative
Mahmud Abbas non ha soltanto compiuto una intrepida impresa democratica. Ha
usato la democrazia come un´arma. Non disponendo di una forza di polizia
sufficiente per neutralizzare i terroristi, e quindi non potendo essere un
interlocutore valido per Israele che glielo poneva come condizione preliminare a
un serio negoziato, il presidente dell´Autorità palestinese ha coinvolto Hamas
nel processo politico. L´ha trascinato su un terreno diverso da quello dello
scontro armato. I tempi erano evidentemente maturi.
Dieci anni prima, nel ´96, alle prime elezioni legislative, Hamas aveva
adottato un´opposizione radicale. Aveva boicottato il voto. Era la logica
conseguenza del suo rifiuto degli accordi di Oslo, dai quali era nata l´Autorità
palestinese, dominata da Al Fatah.
All´elezione presidenziale dello scorso anno, in seguito alla morte di
Arafat, Hamas si era invece arroccato nell´astensione. Ma aveva però partecipato
con successo alle elezioni amministrative. E la possibilità di un successo
altrettanto consistente alle legislative ha senz´altro tentato i dirigenti di
quella organizzazione, la cui attività non è soltanto militare, ma si estende a
tanti altri campi (ospedali, scuole, centri sociali). Alla corruzione dei
dirigenti di Al Fatah, Hamas ha sempre opposto il rigore, a volte supposto a
volte reale, del suo apparato.
Mahmud Abbas era consapevole della vulnerabilità di Al Fatah. Era
inevitabile che Hamas sbandierasse, come poi ha fatto, la courruzione
dell´Autorità palestinese. E denunciasse la sua incapacità nel gestire la
situazione economica. Il reddito procapite è diminuito di quasi un terzo a Gaza
e in Cisgiordania negli ultimi cinque anni. Un calo drammatico, per una
popolazione già abbastanza provata, imputabile all´intifada esplosa nel 2000, e
all´occupazione israeliana, ma in buona parte anche allo sciupio di risorse
dovuto agli amministratori palestinesi incapaci o rapaci. Un´affermazione di
Hamas, più vistosa ancora di quella che sembra affiorare dalle urne, era insomma
prevedibile. Ma non a torto Mahmud Abbas ha contato sul desiderio di pace della
sua gente e quindi sull´esitazione o il rifiuto di affidare l´avvenire al
partito che pratica la resistenza con il terrorismo.
Come Israele, anche gli Stati Uniti e l´Unione Europea hanno fatto sapere
che non tratteranno con un governo di coalizione, con ministri di Hamas. Ma se
si accetta un´elezione, se la si sollecita e la si benedice, bisogna poi
rispettarne il risultato. Lo stesso vale per Hamas. Nel suo manifesto elettorale
non figurava, come nello statuto, la distruzione di Israele. Quindi nel corso
della legislatura i suoi esponenti dovrebbero attenersi ai loro impegni
elettorali. I quali sono stati assunti nell´ambito di una consultazione promossa
dall´Autorità palestinese, la quale riconosce lo Stato ebraico. Insomma, la
svolta non è soltanto rischiosa.