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8 Aprile 2005

E nell’agenda del Cavaliere irrompe la crisi del carisma

Autore: Filippo Ceccarelli
Fonte: la Repubblica

Premesso che Silvio Berlusconi dà il meglio di sé quando è con le spalle a terra; e accertato che finora è sempre riuscito a rialzarsi, ecco, mai come oggi viene da chiedersi se non sta per esaurire un ciclo politico e di potere. Se non si sta avverando, per caso o per necessità, la fatidica profezia di Montanelli: “Solo lasciandolo governare, gli italiani si vaccineranno contro il berlusconismo”.

E infatti. La seconda sconfitta elettorale di seguito: sei regioni perse, due milioni di voti bruciati. Poi la temeraria esposizione a Ballarò: tre contro uno a togliergli la parola, a sghignazzare o a mettersi le mani nei capelli mentre lui parlava; le telecamere che per la prima volta inquadravano le grandi orecchie rosse del presidente del Consiglio, le smorfie di incredulità al risuonare degli applausi non suoi, quel disagio che si esprimeva nel gesto ripetuto di allargarsi il colletto della camicia.

Ma non bastano la tv e le elezioni, perché a suo modo è anche ciò che sta succedendo a Roma in questi giorni, le moltitudini attorno a San Pietro a destare un dubbio aggiuntivo sulla crisi del berlusconismo. I due eventi, va da sé, non sono paragonabili. Eppure a lungo si è evocato il “carisma” a proposito di Berlusconi. Ecco: dov’è è finito, ormai, il carisma del Cavaliere Possibile che se ne colga l’ombra solo nelle grottesche idolatrie di Bondi che ieri ha definito il suo presidente “un leone indomito”

Sembra che Berlusconi stesso abbia riconosciuto le difficoltà del momento: “Forse è proprio vero che la mia immagine s’è logorata, che non basta più”. Nove mesi fa, durante la verifica-monstre, il Cavaliere era stato molto più esplicito con i centristi dell’Udc: “Voi state cercando di offuscare il mio carisma”. Era furibondo: qualche ora prima, entrando a Palazzo Chigi, era voluto scendere dalla macchina per il consueto bagno di folla. Era stata una scena pazzesca: lui che allargava sorridente le braccia e la folla che lo fischiava, “buffone!”, strillavano, “a casa! a casa!”.

Si fa presto a dire “a casa”. Pochi giorni prima, nel prato di Arcore, orgoglio botanico del Cavaliere, erano stati trovati – oh scandalo! – dei mozziconi di sigarette. Ospiti maleducati. Ma anche un indizio dell’imminente “scarisma”, o erosione carismatica del berlusconismo.

A volerli riconoscere, c’erano altri segni, alti e soprattutto bassi, com’è in ogni processo di dissacrazione: il letame no global scaricato davanti a Palazzo Grazioli, per dire; come pure quella foto (di Umberto Pizzi) del presidente che alla sfilata del 2 giugno si aggiustava, per così dire, il cavallo dei pantaloni. Ancora, i mugugni a Sanremo dopo la terza stornellata di Apicella. Oltre a quella scritta che Guido Ceronetti aveva registrato su un muro di Bari: “Berlusconi – diceva – era il mio dio, adesso sono ateo”.

Ora, a parte i graffiti, l’arte politica ha senz’altro i suoi indicatori. Voti, tessere, interessi, potere, insediamenti. La pace, la guerra, l’economia. Il punto è che proprio a causa di Berlusconi, la politica stessa è fuoriuscita da quell’ambito tradizionale per inoltrarsi, nell’era dei media elettronici, in una dimensione che è antica, ma al tempo stesso evoluta; formalmente razionale, però così personalizzata da dover ricorrere al mito e alla magia. E dunque necessariamente carismatica.

Da questo punto di vista anche il ricorso alla chirurgia plastica rischia di apparire un incerto artificio contro lo scorrere del tempo. Come pure il trapianto di capelli, previo gioioso camuffamento con bandana, può forse funzionare, ma certo non vale per sempre, e non solo perché lo stress da sconfitta elettorale, come ha ammonito ieri il tricologo Pazzaglia, può compromettere la ricrescita. Sono gli eccessi della videopolitica, semmai, che consumano l’attenzione determinando sui destinatari del messaggio quell'”effetto Aiazzone” di cui ha parlato Luigi Crespi, un tempo il sondaggista preferito del Cavaliere.

Insomma, forse non c’era nemmeno bisogno delle elezioni per capire che qualcosa s’è davvero inceppato nel berlusconismo. E da tempo. Osservatori acuti – come Vincenzo Susca, in un suo saggio in “Tutto è Berlusconi” (Lupetti, 2004) – fa risalire il momento di rottura a una “Domenica in” consumatasi in una sera dell’ormai lontano ottobre 2003, quando sul video già scorrevano i titoli di coda, in platea c’erano Cattaneo e Del Noce mentre Paolo Bonolis, lungi dall’essere l’icona televisiva di oggi, proclamava i risultati di quello che sembrava un innocente giochino.

Si chiamava “Basta con” ed era una specie di sondaggio che doveva rivelare di che cosa gli italiani non ne potevano più. La graduatoria comprendeva, in crescendo, le tasse, il mobbing, la malasanità, l’accoppiata infernale Saddam e Bin Laden. Alla fine Bonolis, comprensibilmente emozionato, pronunciò il nome del vincitore, che poi era quello del perdente di questi giorni. E disse: “Basta a Berlusconi e ai politici che dicono e non fanno”.

Molte cose poi accaddero, da allora, nessuna decisamente in grado di ripristinare quel tipo di profetica sovranità, di turbinoso magnetismo cui si è dedicato Max Weber al termine della sua lunga vita di studi. Perché carisma è già parola impegnativa. Ma la sua concreta potenza ed energia, come dimostra l’immane fiume che scorre verso San Pietro, lo è molto di più di una batosta alle elezioni o una puntata di Ballarò.