"Vedrete. Adesso si scateneranno, purtroppo". Li aspettava al varco, gli eurofobi di casa nostra. Ed era pronto a reggerne l’urto: nostalgici della liretta, affiliati al vecchio e mai morto partito della svalutazione, camicie verdi affezionate al mito ingannevole delle piccole patrie. Da lunedì scorso Carlo Azeglio Ciampi non ha fatto altro che ripetere a se stesso e ai suoi interlocutori questa dolorosa previsione: "Lo so, adesso anche la destra italiana cavalcherà l’onda anti-europea che è partita dalla Francia". Ma con la stessa consapevolezza, il presidente della Repubblica ha anche ribadito: "Indietro non si torna".
"Né sull’Europa, né tanto meno sull’euro. Non mi muovo di un millimetro da
questa mia posizione".
Lo ha confermato anche ieri mattina a Silvio Berlusconi, che lo ha chiamato
a Castelporziano, per esprimergli solidarietà dopo l’attacco frontale di Calderoli. "Indietro non si torna". La telefonata del premier è stata un atto dovuto. Non che non gli abbia fatto piacere. Ma al Capo dello Stato, in questo momento, più che la forma interessa la sostanza. E la sostanza dice che per l’Italia l’Europa è e deve restare una "stella polare". Perché nonostante tutte le difficoltà e tutti i problemi che l’Unione sta vivendo, per noi l’Europa rappresenta, come diceva Guido Carli, altro grande europeista e antico maestro dell’uomo del Colle, "quel vincolo esterno che ci ha salvato tante volte". E che continua a salvarci, nonostante le violente e insensate campagne della Lega contro "Forcolandia".
Il presidente, su questo, non ha dubbi. Vede la fase critica che la Ue sta attraversando. In questi giorni non può che esprimere "rammarico, dispiacere, amarezza" per il voto della Francia e dell’Olanda contro la Costituzione europea. Capisce soprattutto le profonde implicazioni del No francese: perché alla Francia l’Europa "deve tutto", perché la Francia ha saputo esprimere personaggi insostituibili per la storia dell’Unione come Schumann e Monnet, perché senza la Francia la stessa Germania non può muovere passi sulla via della ripresa dell’integrazione. Riconosce le "imperfezioni del Trattato" sulla Costituzione. Intuisce il profondo malessere delle opinioni pubbliche europee, rispetto a una Commissione di Bruxelles che spesso "viene vissuta come semplice burocrazia, che produce vincoli e non ricchezza per i cittadini dell’Unione".
Ciampi osserva tutto questo. Ed è il primo a riconoscere, nei colloqui a vario livello intrattenuti in questi giorni, che "tutti noi dobbiamo fare una riflessione", e se serve anche un’autocritica. Per correggere quello che non va. Per far filtrare alla gente di Eurolandia quel "messaggio positivo" che ora non può e non deve essere disperso. Lo dirà con forza, nel discorso che sta preparando in vista di un appuntamento per lui importantissimo: il prossimo 15 giugno sarà proprio a Parigi, alla vigilia del Consiglio Europeo che si preannuncia decisivo, dove parlerà all’Ecole Normale Superieure.
Ciampi ripeterà il concetto che, in questo momento, gli sta più a cuore. È vero, sembra esserci una crisi di identità tra i 15 stati dell’Ovest. Sembra esserci una crisi di rigetto popolare persino tra i grandi Paesi fondatori. Ma queste crisi vanno affrontate "con la mente fredda". Vanno approfondite e comprese. Senza "assurde e stupide reazioni emotive", che oltre tutto sono quasi sempre "inconcludenti". Nella sua lunga storia l’Europa ha già vissuto battute d’arresto: al Quirinale non si dimentica l’impasse del Consiglio europeo di difesa, e la famosa "poltrona vuota" lasciata allora proprio dalla Francia. Ma questa riflessione, che riguarda tutti i governanti, deve partire da una premessa fondamentale. La stessa che Ciampi ha ricordato, appunto, a Berlusconi: "Indietro non si torna". Perché noi tutti "dobbiamo rammentare gli immensi vantaggi che in questi decenni ci ha regalato l’Europa unita". Noi tutti dobbiamo rammentare cosa siamo diventati grazie all’Europa unita, a livello di Unione e a livello di singoli Stati".
E qui il pensiero del presidente della Repubblica, in questi giorni, si è rivolto spesso allo specifico italiano. Ancora mercoledì scorso, nel ricevimento ai giardini del Colle dopo il concerto per la festa del 2 giugno, Ciampi si è fermato più volte a chiacchierare con gli invitati, e più volte ha tirato fuori dalla tasca della giacca un foglietto che gli è caro fin dall’ormai lontano 1998, che continua tuttora ad aggiornare e dal quale non si separa mai. È il grafico sull’andamento dei nostri tassi di interesse, che allora ci consentì di tagliare il traguardo di Maastricht, e che ancora oggi, nonostante il preoccupante riaprirsi della forbice tra i rendimenti dei Btp italiani e dei bund tedeschi, ci consente di risparmiare
decine di miliardi di euro. Su questo, il Capo dello Stato non sente ragioni. A chi oggi mette pretestuosamente l’euro sul banco degli imputati, al Quirinale si obietta "ma non hanno memoria di cos’era l’Italia prima dell’euro e di cos’erano le svalutazioni? Non hanno memoria di come correvano i prezzi per chi andava a fare la spesa e i tassi di interesse per chi chiedeva denaro in banca?". A chi oggi si culla nel miraggio suicida di tornare alla lira, al Quirinale si ricorda che nel ’99, grazie all’operazione di risanamento e all’aggancio all’euro, Ciampi si trasferì sul Colle lasciando in eredità al Tesoro un bilancio pubblico nel quale solo grazie alla riduzione della spesa per interessi fu possibile risparmiare
80mila miliardi del vecchio conio. A chi oggi vorrebbe riportare indietro le lancette della storia, convinto che la moneta unica ci abbia impoverito, al Quirinale si replica "perché mai proprio noi siamo in testa tra i Paesi più depressi d’Europa?" e "perché mai la Spagna, che ha l’euro come noi, cresce
a ritmi così sostenuti?".
Il presidente, in queste ore delicate, si vuole tenere lontano dalle polemiche. Da "ottuagenario che vive con la passione dei 20 anni", come lui stesso si definisce, considera l’Europa un "sogno troppo grande", per poter essere svalorizzato nel gioco del "botta e risposta" tipico del mediocre teatrino politico nazional-popolare. Ma su questo, al centrodestra non può e non vuole fare sconti. Il Cavaliere lo ha capito. Per questo, pur essendo un euroscettico naturale, ha reagito con sorprendente cautela alle svolte centrifughe di Francia e d’Olanda. Per questo, pur essendo un atlantista strumentale, ha mandato Giulio Tremonti in avanscoperta con due editoriali sui maggiori quotidiani europei, nella per lui insolita veste del "pontiere". In un tornante così pericoloso per i destini dell’Unione, l’Italia deve giocare un ruolo di mediazione e rilancio. Non può permettersi il lusso autolesionistico di diventare una "Vandea d’Europa" e di guidare, insieme se non addirittura più in là della Francia, quella che Le Monde ha definito la "moderna jacquerie" dell’Unione. È la lezione di Ciampi: "Indietro non si torna".