ROMA – Il 17 agosto del 2000 Giuliano Amato si schierò al suo fianco su un campo da tennis e vinse: una sfida in qualche modo storica, contro l’allora presidente Rai Roberto Zaccaria e il principe Guicciardini Strozzi. Francesco Rutelli alla fine del mandato di sindaco tenne una lezione in quella London School of Economics che diede i natali alla Terza via: non è unmistero il sogno di collocare laMargherita nel solco del New Labour . E il mese scorso Romano Prodi ha provato a riallacciare, a cena, un’amicizia logorata dagli anni di Bruxelles. Tony Blair visto dai leader del centrosinistra ha mille volti e non tutti simpatici. Per i riformisti è un grande statista, per i « radicali » invece è « il cagnolino di Bush » , un politico di centro e nemmeno di prima grandezza.
Di sinistra, Blair? Furio Colombo si scandalizza: « Mi ricorda la buona destra americana, seria, perbene e preoccupata dei rapporti col mondo, ha qualità retoriche straordinarie come solo Kennedy e Clinton, ma da qui a dire che è di sinistra… » . Deluso? « Non ho mai riposto in lui grandi speranze e proprio non capisco gli entusiasmi che di tanto in tanto si levano dal nostro centrosinistra » . Per i vertici della Quercia, dove si continua a credere nell’asse franco tedesco, l’inquilino di Downing Street è come una donna amata che tradisce e poi ritorna. Al tempo dei governi dell’Ulivo il dialogo « amoroso » con il New Labour era intensissimo, « bisogna riunire idealismo e governo » andava teorizzando Walter Veltroni, che nel governo Prodi vedeva « le stesse idee che animano Clinton e la sfida di Blair » .
Erano i tempi d’oro del blairismo all’italiana, Terza via e Ulivo mondiale. Ancora nel 2001, all’indomani della sconfitta, Rutelli eD’Alema facevano a gara per presenziare nel salotto buono del riformismo euroamericanoma negli ultimi anni, complici Berlusconi e il conflitto iracheno, la passione è andata scemando, per riaccendersi in tempi recentissimi. Ai primi di maggio di quest’anno Massimo D’Alema, che a Palazzo Chigi aveva provato a incamminarsi sulla via blairiana alle riforme, festeggiò con slancio ( incurante dello sdegno di Achille Occhetto) la vittoria di « un vero leader di sinistra » , eppure la sua vena antiamericana non è estinta. E Piero Fassino fece i salti mortali per giudicare Blair al netto della guerra: « Un successo storico, sarei felicissimo di realizzare in Italia le cose di sinistra che è riuscito a fare lui » .
Fausto Bertinotti non ritiene possibile prescindere dalla guerra: « Prendere a modello Blair è masochismo puro » . Alberto Asor Rosa, che ha lasciato i Ds perché « sulla guerra la sinistra riformista si stava spostando verso Blair » , condivide e teme una virata « che orienti l’Europa in senso liberistico e conservatore » .
Assai timido il ritorno di fiamma di Romano Prodi, che salvo la breve parentesi del suo governo non lo ha mai davvero amato: troppo antieuropeista, troppo legato a Bush, troppo responsabile della tragedia irachena. Andrea Romano, autore della biografia ragionata The Boy. Tony Blair e i destini della sinistra ( Mondadori) mette in guardia il Professore: « Non seppellisca l’allargamento, è un tema di sinistra » . Anche Enrico Letta non esita a definirsi un « tifoso » , ma con molti distinguo: investire su ricerca e innovazione e credere in un welfare incentrato sulla natalità è ricetta esportabile anche in Italia, ma invitare il bilancio comunitario a scendere all’ 1% del Pil vuol dire perseguire un’ « idea minima » della Ue: « L’idea che si possa fare un’Europa alla britannica è fuori dalla realtà » . Paolo Gentiloni, « fan sfegatato del socialismo liberale di Blair » , prova a crederci. « La sua è l’unica esperienza vincente in Europa » .
A sinistra Fabio Mussi dà voce al leitmotiv dei detrattori: « L’idea che la società si governa solo dal centro è vecchia, non funziona. Blair ha stoffa, ha fascino, le sue parole chiave sono modernizzazione, competizione, concorrenza. Ma la giustizia, la solidarietà? » . Cesare Salvi non ha dimenticato la primavera 2002 quando, in pieno scontro sull’articolo 18, Blair venne a Roma e andò in tv a dire che sui temi del lavoro non c’è differenza tra destra e sinistra: « Ha ceduto alle sirene del neoliberismo e vuol fare dell’Europa un mercato globale » . Macché, ribatte Biagio deGiovanni, « Blair è un vero uomo di Stato, il più europeista dei dirigenti britannici e saprà tenere a bada l’euroscetticismo degli inglesi » . E il Ds Nicola Rossi respinge come « oziosa » la diatriba sul presunto centrismo di Blair: « L’Europa investa come lui sull’istruzione, invece di irrigidire il proprio bilancio in favore della sola agricoltura continentale » .
Per Eugenio Scalfari è un’ « anatra azzoppata » , mentre Claudia Mancina sprona la sinistra a guardare ai risultati ( « più crescita e meno disoccupazione » ) e non solo all’asse con Bush. Il direttore del Riformista Antonio Polito si accende per il change or fail , il cambiare o fallire che è da sempre il motto di Tony Blair: « La sinistra europea deve capire che non può rimanere aggrappata all’idea franco tedesca » . Sì, ma la guerra? « Tra dieci anni gli iracheni staranno meglio di come stavano sotto Saddam » .