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9 Gennaio 2006

E’ barbarie l’omertà, non le intercettazioni

Autore: Mario Pirani
Fonte: la Repubblica
Un «bravo!» a Valentino Parlato che sul “manifesto” ha inneggiato alle
intercettazioni affermando che «la privacy è una forma di difesa per i cittadini
comuni ma non per i protagonisti della cosa pubblica». Quando l´ho letto avevo
già deciso di sostenere una analoga tesi nella odierna rubrica.

Cercherò ora di approfondire l´argomento soprattutto perché, dopo le
minacce di Berlusconi d´imporre un decreto-bavaglio, sono sopravvenute le
reprimende di Casini («Le intercettazioni sono una barbarie, sia che riguardino
Fassino che Fazio»), le lamentele di D´Alema che invoca l´intervento della
magistratura, le reazioni di tanti timorati di sinistra, riassumibili nel altolà
del senatore diessino Guido Calvi («Guai a scherzare con le garanzie previste
dalla Costituzione che sono una conquista della democrazia, un retaggio della
Rivoluzione francese perché tutelano il parlamentare e lo mettono al riparo da
attacchi strumentali») che si sente evidentemente di mette sull´avviso quanti,
come Parlato e il sottoscritto, non reputano incombente la restaurazione
dell´assolutismo borbonico mentre pensano che la trasparenza della politica,
assicurata dalla libertà di stampa – compresa la pubblicazione delle telefonate
delle personalità pubbliche – costituisca oggi una indispensabile garanzia per
impedire il trionfo dei Fiorani e dei Consorte.
Mi ha confortato constatare che Stefano Rodotà, da me consultato, sia del
medesimo avviso. L´ex Garante della privacy (una parola anglosassone che rivela
l´origine giuridica del principio) mi ha illustrato la distinzione che la
giurisprudenza è venuta sempre più approfondendo tra diritto alla privatezza dei
semplici cittadini e, per contro, le ridotte aspettative in materia per chi si
espone pubblicamente (uomini politici ma anche gente dello spettacolo e campioni
sportivi). Fa testo, come punto di partenza in materia, una sentenza della Corte
Suprema degli Stati Uniti del 6 marzo 1964 che assolveva il New York Times,
accusato di aver divulgato notizie riservate e diffamanti sul City Commissioner
di Montgomery in Alabama, tal Sullivan, allora impegnato in una campagna contro
Martin Luther King. La Corte, respingendo le accuse di Sullivan, teorizzò che,
nei riguardi delle “figure pubbliche”, la libertà di espressione dei mezzi
d´informazione deve essere talmente ampia da consentire perfino la pubblicazione
di qualche notizia inesatta, a meno che non lo si faccia con “actual malice”,
cioè con la consapevolezza della inesattezza e del suo uso al fine di
danneggiare l´individuo. Da questo spartiacque è discesa tutta una legislazione
che si è estesa anche agli ordinamenti di molti altri Paesi nei quali, quasi
ovunque, si è riconosciuta una tutela «affievolita» per quanti abbiano deciso di
svolgere una attività pubblica e per ciò stesso abbiano accettato di “vivere in
pubblico”.

Con una rigorosa eccezione: la tutela alla privacy per tutti – uomini
pubblici e semplici cittadini – per quanto attiene alle relazioni della vita
privata, alle credenze religiose o ideali, alla salute, alle inclinazioni
sessuali e a quant´altro riguarda esclusivamente l´individuo nelle sue
peculiarità. E pur tuttavia, a volte, la natura pubblica del soggetto implica
persino qualche eccezione in merito.

Ad esempio Rodotà mi ha ricordato il caso di un consigliere regionale
lombardo, colto dalla PS durante un rapporto omosessuale in un luogo aperto, la
cui invocazione alla privacy non venne accolta in quanto lo stesso personaggio
era noto per vivaci campagne contro i gay. Quindi quel comportamento privato
rivelava un risvolto attinente il comportamento pubblico che non poteva essere
“oscurato”.
Ma, tornando a cose ben più corpose, Rodotà mi ha anche ricordato il Codice
deontologico dei giornalisti, avallato dal Garante e pubblicato sulla Gazzetta
ufficiale quale norma di legge che all´articolo 6 recita: «La divulgazione di
notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto
della sfera privata quando l´informazione, anche dettagliata, sia indispensabile
in ragione dell´originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi
particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti. La
sfera privata delle persone note o che esercitino funzioni pubbliche deve essere
rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla
loro vita pubblica». É una “barbarie” aver pubblicato notizie e dati riservati,
riguardassero essi Fazio, Fassino o chiunque altro o non, piuttosto, la pretesa
autoreferenziale di un ceto politico, aduso ad una omertosa segretezza e che
legge come lesa maestà ogni giudizio critico?