La durezza, quasi la provocatorietà verso l’opposizione sembrava studiata a tavolino. Romano Prodi voleva ribadire, in primo luogo ai propri alleati, la strumentalità di un dibattito non voluto ma subìto. E la freddezza con la quale il grosso dell’Unione ha seguito l’autodifesa del premier su Telecom e la rissa verbale col centrodestra, rafforza questa sensazione. Probabilmente è vero che il capo del governo ha trasmesso un’immagine di solitudine davanti agli avversari; che gli applausi del centrosinistra sono stati avari, un po’ d’ufficio. Ma le otto interruzioni, gli insulti, lo scherno, e il riso amaro col quale Prodi ha reagito, gli ridanno la leadership della maggioranza.
È un leader magari non amato, anzi sopportato con un disagio crescente; e tuttavia legittimato proprio nel momento in cui i toni del fronte berlusconiano diventano così alti e personalizzati da configurare una sorta di antiprodismo. Si dirà che il Professore è uscito dal confronto di ieri alla Camera con qualche livido; che l’accusa di aver mentito su Telecom, ripetuta da Giulio Tremonti, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini, lascerà tracce. Ma si stava difendendo da chi lo accusava apertamente e dai mugugni della propria coalizione. Grazie al centrodestra, ha prevalso l’immagine indistinta del caos parlamentare. E la vicenda, per Palazzo Chigi, è archiviata.
Le incognite sono altrove. Riguardano una Legge finanziaria che tempo fa Prodi voleva tale da «stupire»; e che invece potrebbe finire per alimentare i luoghi comuni più vieti sulla «sinistra fiscale». L’incontro iniziatosi ieri notte alla presidenza del Consiglio con industriali, sindacati e enti locali, e poi con l’Unione, è stato preceduto da una serie di altolà forieri di tensioni. Il vero braccio di ferro si giocherà sulla manovra economica. Lì si capirà se il baricentro del potere rimane a Palazzo Chigi, o si sta spostando sui partiti. «Il quadro analitico delle cifre ci sarà venerdì in Consiglio dei ministri», avrebbe spiegato il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Ma non è scontato.
I dicasteri vogliono 60 miliardi di euro per lo sviluppo, ma «bisogna versarli in un contenitore da 15». Perciò, ha avvertito Padoa-Schioppa, «occorre scegliere delle priorità». Il rompicapo, per Prodi e il titolare dell’Economia, è proprio questo. Dall’esterno arrivano le dosi di scetticismo della Confindustria e le riserve dei sindacati, incontrati dal governo prima della riunione coi partiti del centrosinistra. E Padoa- Schioppa ammonisce che sono cresciute le spese «più difficili da tagliare come quella sanitaria e della pubblica amministrazione»: difficili perché promettono di scatenare una rivolta nell’Unione.
L’ipotesi di suddividere a metà i 30 miliardi di euro della Finanziaria del 2007 fra risanamento e sviluppo si rivela ancora tutta da verificare. Gli allarmi lanciati dagli enti locali, timorosi per la prospettiva di una manovra che si profila «molto severa» ma rimane indefinita, sono espliciti. E toccano il rapporto con un’Unione che ha in gran parte di regioni e comuni la colonna vertebrale del proprio potere. Non bastasse, si allunga la lista dei ministri che minacciano di dissociarsi da una Finanziaria che riduca i loro bilanci. Sicuramente c’è molta pretattica, e Prodi lo sa bene. Infatti avverte: «Le decisioni spettano al governo». Ma rimane il timore che alla fine vinca la tentazione di risolvere il rebus alzando le tasse.