2222
17 Ottobre 2005

Democrazia diretta

Autore: Michele Serra
Fonte: la Repubblica
Quei cittadini in coda, spuntati da quel territorio sconosciuto che è la
normalità, non se li aspettava nessuno. La metafora calcistica è fin troppo
ovvia: clamoroso contropiede del centrosinistra, e proprio su un terreno, quello
elettorale, reso arroventato e ostile dal ribaltone proporzionalista del
governo. Ora l’Unione avrà gioco facile nell’opporre una mobilitazione
democratica di dimensioni del tutto inattese, non piazzaiola, meditata e
composta, al furbo ribaltone proporzionalista deciso nel chiuso delle stanze del
potere berlusconiano: piaccia o non piaccia le famose “due Italie”, per
mentalità e per metodo, in questo scorcio convulso della lotta politica hanno
dimostrato (entrambe) di esistere davvero.

Le code ai seggi ispirano una retorica democratica fin troppo facile. Meno
facile era crederle possibili e infine organizzarle in salita e quasi obtorto
collo, con la zavorra di un clima interno avvelenato dai soliti sospetti e dalle
solite piccinerie di fazione (vedi le improvvide dichiarazioni di Mastella,
anche lui travolto dall’esito delle primarie).

Quello che viene da chiedersi, ora, è perché non sia accaduto prima.
Perché, per lunghi anni, un progetto di democrazia diretta come le primarie
abbia tardato tanto a prendere corpo. Erano una delle poche idee solide,
comprensibili e credibili scaturite dalla mobilitazione della società civile,
suffragata autorevolmente da molta politologia sapiens, e avvertita comunque
come un cambiamento concreto, un segno di mutamento anche formale che desse
sostanza alla fantomatica “seconda Repubblica”.

Un’idea popolare: più potere alla gente, meno alle alchimie partitiche.
Questo, all’osso, è stato lo spirito buono degli anni Novanta, quello che animò
il primo Ulivo, i movimenti di opinione, i circoli e le associazioni di
cittadini che si proponevano, con qualche goffaggine ma parecchie buone ragioni,
di affiancare il ceto politico, e magari controllarne la rotta. Indicare
direttamente il proprio candidato premier: che cosa, di così paventabile e
dunque rimandabile, conteneva questo proposito, se è stato necessario aspettare
una diecina d’anni per metterlo in atto?

In una bella domenica di ottobre, almeno un pezzo (importante) di quello
spirito di partecipazione ha trovato il suo sbocco, come se fosse pronto già da
tempo a un appuntamento rimandato così lungamente. Del clima litigioso e nervoso
della nomenklatura dell’opposizione, nessun segno tangibile nei folti gruppi di
elettori segnalati ovunque di ottimo umore, sorpresi di essere così in tanti,
felici di dovere attendere anche parecchio tempo per poter scegliere il
candidato premier. Premier di una coalizione, scelto tra sei diversi nomi ma
destinato a essere votato da tutti, secondo uno spirito maggioritario e bipolare
che, specie tra i cittadini di centrosinistra, è avvertito come la prima delle
urgenze, tanto devastante è il continuo riprodursi delle divisioni interne
proprio quando l’avversario è alle corde.

Erano probabilmente due i sentimenti più diffusi tra gli elettori unionisti
in coda, e si tratta degli stessi due sentimenti che hanno reso possibile una
partecipazione così superiore alle attese più rosee: la voglia di reagire
subito, anche contandosi, a una nuova legge elettorale subita come un trucchetto
ignobile, e la possibilità di sorreggere, per quanto possibile, quello spirito
di coalizione che è intrinseco in una consultazione che sceglie non il capo di
una fazione, ma il leader di tutta l’opposizione.

Se è facile ironizzare sulla sinistra di piazza (anche per esorcizzarla),
meno facile sarà snobbare una sinistra di seggio come quella scesa in campo
ieri, in quantità almeno doppia a quella soglia di visibilità (un milione di
voti) indicata alla vigilia un po’ da tutti. E chissà se qualcuno, nel
centrodestra, sarà in grado di preoccuparsi della lampante sintesi politica che
esce da questi ultimi fatidici giorni, con il governo che torna precipitosamente
al vecchio proporzionale per tentare di rabberciare i sondaggi maledicenti, e
l’opposizione che dà corso, con le primarie, almeno a un pezzo della vox populi
levatasi dopo la caduta della partitocrazia: più potere ai cittadini. Lo
scontro, dopo la nuova legge elettorale e dopo le primarie, è prima Repubblica
contro seconda Repubblica. Una carta in più, e che carta, da giocare per
l’Unione.