Francesco De Gregori, tutti i giornali la arruolano
sotto le bandiere di Walter Veltroni. È davvero così? «È vero che sono amico
di Veltroni, da tantissimi anni. Se mi metto a contarli, sono più di trenta.
Ma essere arruolato mi dà un po’ fastidio. Un conto sono gli amici, un conto
i simpatizzanti ». Lei non simpatizza? «Mi piacerebbe fare il tifo per lui, se
lo capissi. E finora non l’ho capito. Non sono molto d’accordo con certe
cose che Veltroni dice e fa. Lui ha una grossa capacità di comunicare, di
proporsi come elemento di novità. Ma quel che dice spesso è difficile da
afferrare, da decifrare. Usa un linguaggio aperto a ogni soluzione, dice
tutto e il contrario di tutto. Mostra una grande ansia di piacere, di essere
appetibile a destra e a manca, che magari gli porterà molto consenso ma è poco
utile a capire cosa sarà davvero il Partito democratico». Lo sa che lei sta
scendendo dal carro del vincitore? «Mi rendo conto che accade di rado. Nel
mondo della canzone, poi. Ma nel vincitore annunciato, ammesso che sia tale
anche alla fine, non trovo una linea chiara. Sento un gran bel parlare,
belle promesse, i riferimenti coltivati da sempre, Kennedy, don Milani, Olof
Palme. Ma non riesco a ricondurlo a una chiara intenzione politica. E vedo
che non sono l’unico ad avere questa difficoltà». Che cosa in particolare non la
convince nel suo linguaggio? «Questo appellarsi di continuo al sogno, a un
mondo migliore, ora vedo pure all’amore. Per carità, come si può essere in
disaccordo, meglio basarsi sull’amore che sull’odio. Ma viviamo in un paese
pieno di problemi. Buttare tutto sui sentimenti, cancellare le differenze,
non significa dare risposte operative alle questioni di oggi». Veltroni in
campo rappresenta comunque una novità. «Veltroni si presenta come un uomo nuovo,
ma lo è fino a un certo punto. Veltroni è uomo navigato. Ha percorso
abilmente la politica italiana degli ultimi trent’anni. Ora la sua
candidatura è stata avanzata e sostenuta da poteri forti e consolidati,
sempre gli stessi degli ultimi decenni. Non è l’homo novus tanto atteso. Mi
convince poco anche questo clima di aspettativa, per cui tutti a dire che
Veltroni è una risorsa, che Veltroni è l’uomo della Provvidenza… Non è
scontato che sia il più adatto a fare voltar pagina al Paese; così come non
dovrebbe essere così scontata la sua vittoria». È un buon sindaco di Roma,
no? «Tutti parlano di modello Roma. Ma Roma mi pare sempre più una città che
cerca di nascondere lo sporco sotto il tappeto. I grandi problemi di una
grande città ? traffico, sicurezza, legalità ? sembrano più spesso elusi,
che affrontati e risolti. Va da sé che Roma è bellissima, da San Pietro al
Colosseo; ma certo non è merito di Veltroni». De Gregori, le sue parole non
passeranno inosservate. Lei è considerato uno degli artisti da sempre più
vicini a Veltroni. «Gli voglio un bene dell’anima. Abbiamo pranzato, cenato,
siamo andati insieme in vacanza, sono stato suo testimone di nozze. Però non
abbiamo mai parlato di politica. Anche quando dirigeva l’Unità e ogni tanto
mi chiedeva un articolo, io glielo mandavo, lui mi diceva se gli era piaciuto o
no, ma non c’è mai stata interferenza reciproca, né lui si è mai sognato di
chiedermi consigli. Io lo prendevo un po’ in giro per la storia dell’Africa:
“Guarda Walter che non ci crede nessuno”. Lui teneva il punto: “Ti dico che
vado in Africa!”. Almeno su questo, per ora ho avuto ragione io». Dubita
della sincerità con cui si vota alle varie cause? «No. Veltroni magari è
sincero. Ma la sincerità dei politici non ci deve riguardare. Appartiene solo
alla loro coscienza. Ci riguarda la loro capacità. Quel che dicono, quel che
fanno. E Veltroni risponde solo di quello che fa. Roma è raffigurata come il
fantabosco. Non è così. La cultura è migliorata; ma la cultura è una
ciliegina sulla torta. Non si fa una torta solo con le ciliegine, e non se
ne parla parlando solo di ciliegine ». Vede anche pericoli per Veltroni?
«Lui sa coltivare la sua immagine. Ha una grande potenza mediatica. Molti
giornali fanno il tifo per lui. Proprio per questo, dovrebbe guardarsi dalla
sovraesposizione ipertrofica. Deve stare attento ai veltroniani. Perché a
volte i veltroniani sono controproducenti». Chi sono i veltroniani? «I
Bettini, le Melandri, quando partono lancia in resta contro i nemici. “Chi
attacca Walter semina veleni…”. Ma dai! La ragazza deve stare attenta
prima di parlare. E poi i Tardelli… Come si fa a essere contro Tardelli,
il vincitore del Mundial? Ma l’Italia oggi è un paese sbandato, che ha
bisogno di ricette meno spettacolari e più amare. E non so se Veltroni sia
in grado di proporle. Al Lingotto non l’ha fatto. Forse lo farà da qui al 14
ottobre. Me lo auguro, perché l’idea del Partito democratico non è affatto
male. La parola è bella, affascinante; ma non ci si può limitare alla scorza.
La si deve riempire di contenuti, perché la gente vada a votare». Quindi il
progetto del Partito democratico la interessa? «Sì. Mi auguro che le
primarie abbiano successo. Che il nuovo partito ci porti fuori dalla
politica stagnante di questi anni, non dia risposte ma ponga domande,
conquisti credibilità, sappia chiedere sacrifici. Che stia lontano dalle
paludi e dai pascoli consociativi, e nello stesso tempo stia lontano da una
sinistra fondamentalista, sempre più decrepita e deprimente». Lei voterà
alle primarie? «Credo di sì. E penso che voterò per Rosy Bindi, che mi
sembra la vera novità di tutta questa storia. Dà l’impressione di essere più
propositiva, più incisiva, più dirimente, più chiara. Più disposta a rischiare
l’impopolarità. Più in grado di farsi dei nemici. Perché abbiamo bisogno di
un leader che sappia farsi anche nemici, non solo amici». Mi perdoni la
malizia: non è che voi amici della prima ora siete un po’ ingelositi dagli
scrittori, dagli sportivi e da tutti questi ammiratori arrivati dopo, con
cui Veltroni ha molto legato? «Lei mi fa un torto intellettuale se pensa che
possa essere geloso della Melandri o di Tardelli ».