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18 Luglio 2005

D’Alema: subito intesa con l’Islam italiano

Fonte: l'Unità

Paura di attentati. «Gli italiani hanno già vissuto gli anni delle stragi e delle bombe e hanno sempre saputo reagire con fermezza e solidarietà». Il documento di Prodi sull’Iraq «Non si può rispondere no, non lo voto, perché c’è scritto ritiro graduale» Che intanto si divide di nuovo sull’Iraq… Se il Paese è privo di un qualsiasi punto di riferimento, l’opposizione deve dimostrarsi ancora di più in grado di governare il Paese. Non capisco, quindi, le forzature di Bertinotti o di altri. Hanno torto nel merito, ma persino al di là del merito in un momento come questo c’è un dovere di coesione. Se Prodi dice: “siamo contro la guerra, avviamo un piano per il ritiro graduale dei nostri soldati dall’Iraq”, non si può rispondere “no, non voto quel documento perché c’è scritto graduale”. Ci vuole senso di responsabilità. Basta con questi protagonismi. Si ricerca visibilità pensando, magari, di ottenere qualche voto in più alle primarie. Fanciullaggini. La sinistra “radicale” dice no anche alle altre missioni di pace. Non è riduttivo giustificare i contrasti solo con le primarie Quella posizione indebolisce l’opposizione contro la guerra in Iraq perché la confonde dentro un no opposto a tutto. Le primarie accentuano una ricerca continua di distinzione che rappresenta un evidente errore e consente a certi giornali di scrivere che il centrosinistra è diviso come il centrodestra e che non c’è differenza tra l’uno e l’altro. Il prefetto di Roma spiega che a Londra, dopo le bombe, c’e stato ordine e autocontrollo e che un attentato terroristico nel nostro Paese provocherebbe invece contraccolpi gravissimi. È d’accordo Ai cittadini bisogna dire come comportarsi in caso di eventi drammatici. Vorrei ricordare, però, che l’Italia ha subito attentati tremendi. L’Italicus e la bomba alla stazione di Bologna che provocò ottanta morti, tanto per fare alcuni esempi. Abbiamo vissuto anni in cui il terrorismo di sinistra assassinava centinaia di persone e lo stragismo fascista attaccava la popolazione civile. Il Paese, però, ha reagito sempre con compostezza, dimostrando grande solidarietà, efficienza nell’organizzare i soccorsi, straordinaria capacità di mobilitazione democratica. Io ammiro la reazione dei londinesi, ma quella dei bolognesi non è stata meno civile e meno forte. Da noi, anzi, c’è stato un di più di politica contro il terrorismo. Il nostro è un Paese che nelle emergenze dà il meglio di sé. Ma anche quello dove un partito di governo propone lo stato di guerra e la caccia all’immigrato… Stupidaggini. Certi isterismi vengono più dall’alto che dal basso, attecchiscono nella società italiana solo in aree marginali. Io credo che prevenire significa anche sviluppare un tessuto forte di dialogo e di solidarietà con le comunità islamiche. In Italia vivono un milione e settecentomila islamici censiti. Un pezzo rilevante della nostra società. Non siamo mai riusciti a scrivere un’intesa con le comunità islamiche, anche perché non riescono a rappresentarsi unitariamente e tendono a organizzarsi sulla base delle nazioni di provenienza. Dovremmo stimolare, invece, l’organizzazione di un Islam italiano. Sarebbe importante se si federassero, così da offrire un interlocutore unico. Questo renderebbe più facile il confronto e l’intesa con lo Stato. Certo, seguire questa strada significherebbe fare il contrario di ciò che vuole la Lega. E la Lega è parte integrante del governo del Paese… Sviluppare una politica di amicizia e non di diffidenza nei confronti delle comunità islamiche, non è soltanto giusto ma è anche un fattore di sicurezza. Non sono tutti nemici, anche se tra loro ci sono pure i nostri nemici. L’amicizia con la parte prevalente di quel mondo rappresenta il modo migliore per isolarli e difenderci. Una politica di sicurezza è fatta di tante cose: efficienza, repressione, prevenzione, controlli alle frontiere, attività di intelligence, coordinamento delle indagini. Ma è fatta anche di iniziative costruttive verso il mondo islamico che vive da noi. Sul Corriere di ieri Bill Clinton propone un summit per promuovere un dialogo tra civiltà. Contemporaneamente Oriana Fallaci mette all’indice “il nemico in casa” e “la fandonia dell’Islam moderato”. Non teme che in Occidente finisca per prevalere quest’ultimo atteggiamento Un clima da scontro di civiltà è il più favorevole al radicamento del terrorismo. La guerra in Iraq è stata completamente inefficace perché ha applicato una metodologia tradizionale a un evento nuovo. Clinton dice una cosa sacrosanta: non possiamo occupare tutti i paesi che ci sono ostili. Il terrorismo non è un esercito e non è una nazione. La guerra tradizionale contro di esso, quindi, al di là di qualunque considerazione di carattere giuridico o etico-politico, rappresenta un mezzo inefficace. Anche negli Stati Uniti si rimette in discussione l’utilità della guerra in Iraq, però… Il conflitto iracheno ha avuto l’effetto di sollevare contro l’Occidente una parte consistente dell’opinione pubblica del mondo arabo e di spingere migliaia di giovani fra le braccia della Jihad. Le persone che si fanno esplodere per ucciderne altre difficilmente possono essere contrastate con i mezzi tradizionali di deterrenza. Di fronte a un nemico che per uccidere ha deciso di uccidersi, e non ha paura di te, l’uso della forza passa in secondo piano. Insomma: è la natura di questo nemico che impone il dialogo tra civiltà di cui parla Clinton. E l’Occidente è più forte se si oppone al terrorismo coalizzando l’umanità e sviluppando un’azione efficace contro la miseria, per la difesa dell’ambiente, per i diritti umani. Se, al contrario, appariremo come quelli che difendono i propri privilegi in modo egoistico legittimeremo il terrorismo. La follia della guerra preventiva, teorizzata dall’attuale amministrazione degli Stati Uniti, ha prodotto danni enormi. E, alla fine, è stata abbandonata di fatto dagli stessi americani, tanto è vero che la catena che prevedeva altri attacchi è stata interrotta. L’Occidente dovrebbe fare una riflessione seria sulla necessità di un cambio di strategia. Anche questo è il valore dell’iniziativa che popone Clinton, alla quale sono stato invitato e parteciperò. Alcuni settori della Destra cercano di schierare la Chiesa dalla loro parte perfino nella “guerra di civiltà” dichiarata al mondo islamico… Credo che ogni tentativo di utilizzarla in chiave rozzamente politica sia destinato all’insuccesso. Le correnti neocon americane non si appoggiano alla Chiesa cattolica ma a componenti del settarismo protestante. La Chiesa è poco riducibile alla funzione di retroterra ideologico di un’ondata neoconservatrice. Noi abbiamo trovato la Chiesa cattolica al nostro fianco contro la guerra e sui temi della povertà e della solidarietà. È stata al fianco dei conservatori sul tema della procreazione assistita, della sessualità, ecc. L’insegnamento etico-religioso della Chiesa non può essere ridotto alla piattaforma ideale di Berlusconi. C’è una evidente disparità di dimensioni. È un’operazione misera, di scarsissimo respiro culturale, che si traduce nelle farse di Giuliano Ferrara. Certo anche all’interno della Chiesa c’è una molteplicità di punti di vista. C’è la ricerca di una forte dimensione interreligiosa e c’è il rischio evidente di arroccamento di fronte all’aggressività del mondo islamico. Ma la posizione di Giovanni Paolo II contro la guerra in Iraq è stata importantissima per evitare uno scontro di civiltà dagli effetti catastrofici con il mondo islamico. Siamo alla vigilia delle primarie. Si ridurranno alla scelta tra più nomi o gli elettori verranno chiamati a scegliere tra opzioni programmatiche diverse Le primarie sono innanzitutto un momento di partecipazione dei cittadini. E questi si interrogano sui destini del nostro Paese, dell’Occidente e dell’intera umanità. In Italia, con la crisi del berlusconismo, finisce la lunga stagione dell’antipolitica che ha avuto un’influenza profonda a destra. Ma anche a sinistra con la critica distruttiva del sistema dei partiti, con il movimentismo, con la esaltazione della società civile o della ricerca di punti di riferimento in poteri neutri come quello della magistratura. Ma il nostro Paese ha risentito di una tendenza più generale. Con la fine dei blocchi e del mondo comunista si è imposta l’ideologia del mercato, dell’omologazione, della politica ancella dell’economia. Questa ennesima ideologia totalitaria per fortuna è fallita. E oggi si avverte il bisogno di una politica che abbia una visione del mondo. La gente torna a chiedere partecipazione. Le primarie sono una delle risposte a questa richiesta. Una pletora di candidature, però, anche se tutti dicono che il leader dev’essere Prodi. Una cosa un po’ bizzarra, non trova Speriamo che ci sia un’autolimitazione. Certo, non spetta a me fare la selezione. Ma ci sono candidature di cui si capisce di più il senso politico. Quella di Bertinotti, ad esempio. Ma anche quella di Mastella che non si considera parte organica dell’Ulivo. Berselli, sull’Espresso, dice che le primarie sanciranno la distanza dei partiti dall’opinione pubblica. Lei è d’accordo Visto che Prodi è sostenuto dai maggiori partiti del centrosinistra io credo che avrà successo anche perché questi scenderanno in campo. E, tra l’altro, penso che il mio partito sia distante dall’opinione pubblica molto meno di cinque anni fa. Le primarie servono a rafforzare la leadership di Prodi e rappresentano una buona regola e un buon precedente. Sono state scelte in zona Cesarini, però… Sì. Era possibile dare forza alla leadership di Prodi anche in modo diverso. Dopo le regionali, infatti, il successo della Lista unitaria avrebbe reso inutili le primarie. Nel momento in cui questo disegno ha subito una battuta d’arresto, però, automaticamente le primarie tornano ad essere necessarie. Il nome del leader non può essere negoziato tra gli stati maggiori dei partiti, la scelta deve chiamare in causa i cittadini. Governare questo Paese non sarà una passeggiata, ma una cosa molto complessa. Le primarie sono un modo per dare forza a una leadership e a un progetto. Quanta più forza avrà Prodi tanto più sarà agevolato nel costruire un’intesa con gli alleati dell’Unione e meno esposto ai condizionamenti. E non è vero che se il leader è più debole l’unità è più facile. Le primarie possono anche andare male però. In quel caso che succede Le primarie possono rappresentare un volano straordinario. Perché se votano due milioni di persone e Prodi prende tra il 65 e il 70 abbiamo già vinto per metà le elezioni politiche. Possono andare molto bene, al punto di chiudere la partita, ma possono andare anche così così e possono perfino creare un problema. Questo dipenderà dalla capacità dei partiti di impegnarsi fino in fondo in questa sfida e dalla volontà dei cittadini di cogliere questa opportunità di partecipazione. Certo, se qualche ideologo bolognese ci spiega che le primarie sono la prova di forza della società civile contro i partiti, consiglierei al mio amico Romano Prodi di chiamare il suo avvocato… I Ds raccomandano sobrietà e rigore morale nelle regioni amministrate dal Centrosinistra. Lei parla di fenomeni di degenerazione. Cosa sta accadendo Fassino è stato il primo a sollevare la questione. Ci sono segnali preoccupanti di un fenomeno più generale. Assistiamo a un processo di professionalizzazione della politica che è frutto della crisi dei partiti. Un consigliere di circoscrizione di una grande città del Centro-Sud guadagna uno stipendio che, nella disoccupazione e nella povertà, corrisponde a una sorta di impiego. Le elezioni diventano, pensiamo alle liste Lombardo a Catania, un grande concorso pubblico con migliaia di candidati. Va fatta una battaglia etica sul piano della moralità e del rigore. Ma va anche affrontato l’aspetto strutturale per capire quali guasti si sono prodotti nel sistema politico con partiti deboli e con un eccesso di personalizzazione della politica. In Italia si vota con sei sistemi elettorali diversi. La preferenza unica, tra l’altro, accentua i conflitti anche all’interno dello stesso partito e ha perso la caratteristica di quindici anni fa, quando fu introdotta per scardinare le cordate e il controllo del voto e il sistema clientelare. Penso, quindi, che dovremo ripensarla. Dopo il voto – perché le regole non si manomettono in campagna elettorale – tutti insieme, dovremo affrontare il problema di una nuova legge elettorale. La Lista unitaria non c’è più, non ci sarà più nemmeno l’Ulivo Quel progetto continua ad essere necessario e non possiamo abbandonarlo, anche se avrà un cammino più lungo e più tortuoso. Non si poteva non tenere conto delle decisioni della Margherita. Abbiamo dovuto rimodulare il percorso. L’Ulivo risponde alle necessità della società italiana che ha bisogno di un bipolarismo più forte, imperniato su grandi soggetti democratici. Oggi, anche se c’è qualche smemorato, siamo organizzati sulla base della memoria del passato: noi, i socialisti, i popolari, ecc. Ma noi dobbiamo individuare i principi coesivi del futuro. L’Ulivo è stato l’invenzione più importante degli ultimi 15 anni. Il principio intorno al quale costruire una grande forza democratica che trovi il modo di collegarsi alla sinistra europea che c’è.