1 Novembre 2005
D’Alema: sono le ultime menzogne di un governo di naufraghi”
Il presidente Ds sul caso di Washington: "Berlusconi, gaffe gravissima: per fare propaganda strumentalizza Bush"
Autore: Massimo Giannini
Fonte: la Repubblica
“Siamo alla pura cialtroneria…”. Massimo D’Alema scorre le agenzie che rilanciano le parole di Berlusconi da Washington: “Bush teme che in Italia vinca la sinistra…”. E il presidente Ds sorride, più amaro che sarcastico: “È gravissimo. E purtroppo questa ennesima brutta figura danneggia l’Italia: il Paese non merita un premier che, a fini di propaganda elettorale, strumentalizza persino il presidente degli Stati Uniti d’America”.
Se è per questo, il Cavaliere dice anche che era contrario alla guerra in Iraq.
“È un’altra bugia, una delle tante. Ma ciò che colpisce di più è la sensazione di totale naufragio politico che il centrodestra sta trasmettendo in questo finale di legislatura. Non c’è nulla che dia l’idea di un’attenzione ai problemi veri del Paese. Fanno una manovrina ogni 15 giorni per regolare i conti con un ex ministro, varano una riforma costituzionale che è solo un assegno post-datato fasullo per Bossi, presentano una legge elettorale che gli serve solo a limitare i danni della sconfitta, cercano di salvare Previti con un’altra norma ad personam, e adesso raccontano menzogne persino sulla guerra, senza nessun rispetto per la verità, per l’opinione pubblica, per le famiglie dei nostri caduti a Nassiriya”.
Non crede alla sincerità del premier, sulla sua contrarietà all’attacco militare a Saddam?
“Questo pentimento postumo del premier è solo un’altra brutta pagina del triste epilogo del berlusconismo. La sua pretesa di essere furbo precipita nella più assoluta improbabilità. Certe riflessioni sulla guerra non appartengono a un uomo di Stato, che semmai le consegna alle sue memorie postume. Delle due l’una. Se sono vere, cosa della quale dubito fortemente, si rivelano una clamorosa dichiarazione di impotenza: “Io l’avevo detto, ma nessuno mi ha dato retta”, alla faccia del tanto conclamato rilancio del peso politico dell’Italia nel mondo. Se sono false, tradiscono il maldestro tentativo di smarcarsi dall’alleato americano, proprio nel momento in cui l’Amministrazione Bush è in difficoltà per la gestione del Ciagate, e allora non si può non comprendere un ragionevole fastidio degli Stati Uniti. Nell’uno e nell’altro caso, sono parole irresponsabili e inutili: ormai, purtroppo, la guerra c’è stata”.
Nel frattempo è scoppiato anche il caso Nigergate, che chiama in causa direttamente il governo e l’intelligence italiano.
“Non voglio accusare nessuno, ma occorre fare piena luce e comprendere cosa realmente sia accaduto. Il governo deve assumersi le sue responsabilità senza dare l’impressione di volerle scaricare sugli apparati dello Stato”.
Questo non toglie nulla alla minaccia fondamentalista. Come giudica l’offensiva di Ahmadinejad contro Israele?
“Gravissima, inaccettabile. Mi conforta il fatto che Khatami l’abbia criticata. Vuol dire che in Iran non ci sono solo fondamentalisti, e che avremmo fatto meglio a cercare il dialogo con l’Islam moderato, invece che cavalcare la follia della “scontro di civiltà””.
Ma lei andrà insieme a Fassino alla fiaccolata per Israele, organizzata dal Foglio per giovedì sera?
“Certo che andrò. È un’iniziativa giusta. Per essere presenti abbiamo cambiato il programma del seminario con i democratici americani, fissato per venerdì dalla Fondazione Italianieuropei “.
È una notizia: D’Alema è sempre stato filo-palestinese…
“Guardi, io e il mio partito ci battiamo da anni per il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele. Ed io sono così “anti-israeliano” che dieci anni, unico leader italiano in quel periodo, sono andato in visita dall’allora premier Nethanyau, per ragionare sulle prospettive della crisi mediorientale”.
Parliamoci chiaro: il centrodestra sarà pure messo male, ma lei è davvero convinto che nel centrosinistra tutto vada bene grazie all’elisir delle primarie?
“Il caos prodotto dalla maggioranza non fa che accrescere le nostre responsabilità. Avremo una campagna elettorale aspra, nervosa. Il centrodestra la giocherà tutta all’insegna della propaganda, del denaro, delle bugie. L’assenza di qualunque progetto per il Paese si articolerà in una sorta di “tattica di guerriglia”, che trova il suo culmine nella riforma della legge elettorale, che smonta l’impianto politico-culturale del nostro bipolarismo”.
An e Udc giurano che il bipolarismo sarà garantito anche con il proporzionale.
“Davvero? E allora spieghino perché sono arrivati al punto di non presentare più neanche un candidato premier, e ora dicono che il premier lo farà “chi prende più voti”… “.
Lei è troppo avveduto per dubitare che il candidato del Polo sia e resti Berlusconi…
“Ma dietro queste affermazioni si capisce la doppia truffa che questa maggioranza sta tentando. Da una parte vendono agli elettori una competizione fittizia tra loro, che in realtà non esiste. Dall’altra parte Casini, vergognandosi di dire che chi vota per l’Udc sostiene comunque Berlusconi, finge di credere che lui può prendere più consensi del Cavaliere. Comunque la si voglia leggere, questa logica sancisce un clamoroso ritorno al passato, realizzato a spese del povero Follini. E ora una crisi di maggioranza rischia di diventare una crisi di sistema. Nel collasso del centrodestra rischiamo di celebrare il funerale del bipolarismo”.
E ad aprile arrivereste voi, a salvare il Paese? Questa è la morale della favola, dopo le primarie e il via libera alla lista unitaria?
“Noi ci stiamo attrezzando per dare una risposta alta a questa grave involuzione del sistema. Le primarie e la lista dell’Ulivo sono due momenti essenziali nella costruzione di un progetto di governo, destinato a incidere anche sugli assetti del nostro bipolarismo. A questo punto lo stesso risultato delle elezioni andrà letto anche come un “referendum” sulla nascita del nuovo, grande partito riformista e democratico”.
Attenzione: purtroppo gli aggettivi sembrano ancora contare tanto, nell’ottica di certi leader. Per Rutelli, per esempio, il partito va bene se è “democratico”, va meno bene se è “riformista”. Siamo proprio sicuri che dietro questi sofismi non si nasconda ancora il nodo irrisolto dell’appartenenza alle famiglie politiche europee?
“Ci sono state discussioni confuse e strumentali, su questo punto. C’è stato il tentativo di creare difficoltà e turbamenti, giocando sulle parole”.
Ma è passata o no la linea di Prodi, che dice uniamoci in Italia, e poi ognuno sieda dove vuole in Europa?
“Io la condivido in pieno. È chiaro che la pluralità dei collegamenti politico-culturali a livello internazionale è una ricchezza. Ed è altrettanto chiaro che in questa fase questi collegamenti non andranno rimessi in discussione, e meno che mai interrotti. Ma noi, in Italia, vogliamo aggregare in una stessa formazione politica le culture socialdemocratiche, cattoliche, liberali, ambientaliste. Vogliamo costruire una piattaforma riformista proiettata verso l’innovazione. E’ indubitabile, poi, che tanta parte di questa piattaforma passi attraverso il socialismo europeo… “.
E’ quello che non vuole Rutelli, e che spinge De Mita a dire “D’Alema è patetico”…
“Senta, noi siamo nell’Internazionale socialista da 16 anni, e trovo curioso il fatto che in tanti oggi ci indichino come modelli Blair o le socialdemocrazie scandinave, per poi invitarci ad uscire proprio dalla famiglia europea nella quale conviviamo da anni con quegli stessi modelli. E trovo curioso il fatto che oggi si pretenda di insegnare a noi che bisogna “andare oltre il socialismo”, quando Amato ed io questo principio lo affermammo già quattro anni fa. La verità è che il socialismo europeo non è più una tradizione ideologica, ma è un campo di forze che ha dimostrato la sua vitalità e all’interno del quale si manifestano spinte innovative. Insomma, non è più la socialdemocrazia di 20 anni fa”.
Anche nel socialismo europeo, però, ci sono resistenze e conservatorismi, di fronte al cambiamento. Non tutto è Tony Blair.
“Certo, anche quel campo deve cambiare. Ma qui sta il nostro sforzo. Se riusciamo a costruire qualcosa di nuovo in Italia, questo può aiutare anche la ridefinizione delle identità politiche in Europa. Cerchiamo di essere pragmatici. Prendiamo ad esempio proprio i democratici americani, che attraverso la National Democratic Association aderiscono sia all’Internazionale socialista, sia all’Internazionale liberale”.
Comunque, non è solo l’anima “popolare” della Margherita a predicare cautela. Anche tra i Ds c’è chi vi accusa di svendere il patrimonio della sinistra.
“È vero. C’è chi teme che la propria storia venga soffocata, chi teme le solite “tentazioni egemoniche”.
C’è chi non vuole morire democristiano. C’è chi non vuole morire socialista. A tutti io dico: pensiamo prima di tutto a non morire. Un grande partito riformista e democratico mi sembra il modo migliore per riuscirci”.
Ci vorranno mesi, anni, decenni? Qual è il tempo di questa operazione?
“Il tempo è ora. La gradualità non può diventare dilazione. Per questo dico: attiviamo un network culturale, per costruire sul territorio questo progetto, mettendo in comune non solo la rappresentanza, ma anche la fucina delle idee. Poi, dopo le elezioni, facciamo subito i gruppi parlamentari unici. E se vinceremo, verrà il governo, che sarà il vero banco di prova per la nascita di questa nuova forza, che deve vedere la luce entro la prossima legislatura”.
Non è un controsenso che, di questa nuova forza non facciano parte proprio i socialisti, che ora vanno a nozze con i radicali?
“Sì, è un vero peccato. Perché questo nuovo partito non è un club, ma nasce sull’arco di forze e di culture che hanno sostenuto Prodi alle primarie. D’altra parte ritengo che in questa fase sia importante anche lavorare insieme per riunire le diverse anime del mondo socialista, come Bobo Craxi ha iniziato a fare. E spero che col tempo anche chi per ora si è chiamato fuori possa ripensarci. Ma sono comunque convinto che in prospettiva anche questo campo di forze si possa ricongiungere al progetto dell’Ulivo”.
Non sarà facile, se Boselli arriva a rimettere in discussione il Concordato per compiacere i nuovi alleati della rosa nel pugno.
“Infatti, vorrei dire agli amici socialisti di stare attenti allo stile brillantemente provocatorio del nostro amico Pannella. Io stesso, che pure ho espresso qualche preoccupazione di fronte a una certa invadenza clericale, non credo che la ritorsione laicista sia il modo migliore per arginarla”.
Resta il programma: quando lo farete conoscere agli italiani?
“Il programma è quella cosa di cui tutti lamentano sempre l’assenza, ma che poi quando viene fuori nessuno va mai a leggere. Noi di idee programmatiche ne abbiamo messe in campo tantissime. Ora si tratta di definire le due idee guida con le quali ci candidiamo al governo. La prima è l’avvio di una politica che ridia slancio all’economia, la seconda è la costruzione di un sistema che assicuri maggiore giustizia sociale. Su questo si dovrà giocare la partita di Prodi. E anche quella del futuro partito che nascerà”.