Pensavamo di esserci liberati dell´anticlericalismo, della volgarità applicata ai simboli religiosi, del dileggio di chi presume di rappresentare Dio nella politica, ma non avevamo fatto i conti con la carnevalata degli atei bigotti “neocristianisti”, con il Te Deum di Baget Bozzo, con le processioni e i rosari di ringraziamento, con un estremismo mascherato di moderatismo, con le celebrazioni di una presunta “rivolta di popolo” contro la secolarizzazione, con l´esproprio politico di una vittoria che rimane poco intelligibile, ancorata tanto all´Italia minoritaria di Radio Maria e dei pellegrinaggi a Loreto quanto alla vecchia sostanza del nostro vizio nazionale, il mai vinto “me ne frego”.
Ed è ovvio che adesso l´anticlericalismo sia la tentazione degli sconfitti, che Pannella lo proclami come valore, perché alla spocchia di chi si pone dentro la politica come il Verbo sarebbe facile rispondere con le pernacchie, con la disobbedienza, con la battaglia per rivedere il Concordato, con la contro-arroganza, con la vecchia idea che dal Concilio di Trento ai nostri giorni qualsiasi miglioramento avvenuto nella Chiesa è da ascriversi al merito dei suoi nemici, con gli slogan grotteschi di un mondo sepolto: «Con le budella dell´ultimo Papa / impiccheremo l´ultimo re».
Il liberale ma iperlaicista Bertrand Russell nel 1954 profetizzava: «Quando in Occidente prevarrà l´opinione che il cristianesimo è essenziale alla virtù e alla stabilità sociale, esso riacquisterà i difetti che aveva nel medioevo».
Insomma, verrebbe voglia di cadere nella trappola anticlericale. E invece bisogna distinguere i valori dai pregiudizi, smontare questi ultimi, contrapporre valori a valori.
Il referendum è stato perso anche perché la sinistra era distratta dalle dinamiche di primazia leaderistica, con un profilo rissoso e confuso: a Bologna era più importante dimostrare il “tradimento” di Cofferati, Prodi si è rifugiato a Creta per studiare le mosse contro Rutelli, nel Sud anche i preti solitamente eliocentrici questa volta erano tolemaici. Nel mezzogiorno la battaglia laica per i valori della scienza è stata lasciata alle bandiere rosse di Rifondazione, che è il gruppo più antiscientifico e più ideologico.
I raduni e i dibattiti sono stati invasi da femministe invecchiate che hanno riproposto linguaggi stereotipati e irritanti in un patetico revival degli anni settanta. L´embrione, i gameti e gli ovuli fecondati sono finiti nelle kermesse canore di piazza, con tutto il loro armamentario di automatismi senza creatività e leggerezza, senza un reale impegno sui valori alti del pensiero laico, che è materia sofisticata e difficile, continua messa in discussione di se stessi.
La cultura di sinistra, nei suoi anni postcomunisti, ha sinora prodotto il giustizialismo, il moralismo, la subordinazione all´etica dell´economia e della politica, lo statalismo e l´ assistenzialismo.
Non c´è nulla dei valori fondanti della società contemporanea che ruotano tutti attorno all´individuo, ai diritti civili, alla nostra identità nazionale che non è data dall´ecumenismo cattolico ma dal pensiero liberale di Cavour, di Croce, di Einaudi, dall´iperindividualismo umanistico di Dante e Machiavelli, da un cristianesimo ghibellino che sa anche vedere nel Papa un intralcio alla propria fede e ai propri progetti temporali: lo Scettro è lo Scettro e la Tiara è la Tiara.
La sinistra è una Pompei di valori ottocenteschi e, pur con atteggiamento vagamente scientista, ha ancora una formazione da Frattocchie. Ha detto a Repubblica Umberto Veronesi: «La scienza in Italia ha un deficit culturale molto radicato» e «noi scienziati non abbiamo nessuna tradizione nell´arte della convinzione e del reclutamento, non sappiamo usare le parole giuste a formare la pubblica opinione, non abbiamo chiese, altari, confessionali» e, aggiungiamo noi, sezioni di partito.
«La scienza non può pretendere il consenso senza dialogo». Dall´altra parte c´era una pur discutibile concezione della vita e della morte, che ha tagliato il traguardo del referendum sopra un asino. Per far fronte all´eruzione lavica del conformismo travestito da parola di Dio, alla fine si sono generosamente spesi l´eterno Pannella, l´indomabile Bonino, e il sempre più bravo e pacato Fassino.
In questo deserto è stata abbandonata l´Italia cristiana che pensa che la scienza sia un attributo di Dio e non il faustismo demoniaco che gioca con Frankenstein, un´Italia secolarizzata che viene accusata dai teocon d´essere “invertebrata” e “scristianizzata” e che invece è laica e responsabile, né anticlericale né clericale di complemento.
Questa Italia cristiana, che non è andata al voto, non somiglia né a Faust né a Radio Maria ma non somiglia neppure alla sinistra. Contro la sinistra, si è astenuta. Ma contro la destra oggi non celebra la propria astensione come una vittoria sui valori laici e sulla secolarizzazione, vale a dire una vittoria su se stessa, ma la contempla impotente come nella Melanconia di Dürer, lo scorno per la banalizzazione di Cristo che faceva miracoli scientifici, ridando la vita ai morti e moltiplicando la ricchezza per i poveri, un Cristo scienziato e quindi misericordioso.
Duemila anni fa Cristo faceva miracoli, duemila anni dopo Cristo fa scienza. Ma il problema è sempre lo stesso: ridurre la sofferenza degli individui.
Nelle guerre di una volta vinceva l´esercito che si posizionava con il sole alle spalle. Ebbene, gli attivisti dell´astensione, con il sole alle spalle, sono riusciti ad annettersi anche quest´Italia cristiana secolarizzata, alla quale i laici e la sinistra non sanno parlare.
E si sono ancorati alla miseria dell´indifferenza, al dato inerziale di chi non si interessa o non capisce o volta le spalle alla complessità e non vota. I pensatori neoclericali hanno lavorato indisturbati sulla parte più gaglioffa di noi, spacciandola per finissima scienza teologale, raffinatissima alchimia aristotelica: la resurrezione di Sant´Agostino contro la provetta.
E ora descrivono un´Italia a loro immagine e somiglianza, un´Italia popolata di milioni di Pera, di Ferrara e di Socci: di pentiti del dubbio metodologico e di ex sofferenti di incertezza; di orfani del sole comunista, ancora persi nel buio a mezzogiorno; di spiritati sedotti dalle ingenuità del catechismo come categorie epistemologiche per schiavardare la secolarizzazione.
Almeno Socci ha il merito di predicare un´etica politica basata sulla teologia, mentre Pera e Ferrara predicano una teologia basata sulla propria etica politica, e adesso litigano pure tra di loro. E´ il destino maccheronico degli atei devoti: antea sodali, id est “culo e camicia”, post festum inimicissimi disputatores summa cum scientia “de ciccia et pugna”.
Ma tra i falsi valori degli attivisti dell´astensione il più falso di tutti è il moderatismo. Ed è il valore che bisogna subito strappar loro di mano, in campo aperto, giorno dopo giorno. Se la moderazione è eleganza, sobrietà e misura, non è certo pratica da moderati il nominare invano il nome di Dio, peccato di estremismo oltre che violazione del comandamento, cafonaggine prima ancora che bestemmia.
L´idea di legiferare in nome di Dio non è mai stata idea moderata, come ora dimostrano gli spasmi isterici dei neoclericali; la presunzione di Buttiglione e La Loggia di rappresentare, nientemeno, il 75 per cento degli italiani; l´idea di reclutare nel Partito Unico del Catechismo tre quarti di Italia; l´intolleranza vaticana verso i dissidenti come don Gallo a Genova o come padre Rodolfo Zecchino, sospeso dall´insegnamento dal vescovo di Verona. E sono segnali orribili la voglia di cacciare Fini dal suo partito e quella di punire Stefania Prestigiacomo, ridotti ad incarnare una destra moderna ma impossibile.
A questa intolleranza estremista, che nella Chiesa di Benedetto XVI sta assumendo la rigidità e lo schematismo della “Lettera tedesca” contro la dolcezza dello “Spirito italiano”, va contrapposto il valore moderato della nostra tolleranza caritatevole, della classicità greca e non di Odino, l´allegro e colorato Olimpo al posto della Walhalla wagneriana così simile al paradiso mussulmano “all´ombra della spada”.
La nostra tolleranza è valore laico, politeistico, prezioso e antico quanto l´insondabilità del mistero della vita. Non c´è all´orizzonte postreferendario nessun valore moderato, c´è la commedia degli equivoci dell´etica, la tristezza di vedere clericali e anticlericali di nuovo in lotta, la brutta convinzione che se nel 1633 ci fosse stato un referendum su Galileo, il popolo italiano, chiamato a votare sull´eliocentrismo, avrebbe dato ragione alla chiesa tolemaica e geocentrica.
Una parte, confusa dall´astronomia “onnipotente”, si sarebbe astenuta dal pensare per non dover confliggere con le proprie convinzioni religiose, e un´altra parte si sarebbe astenuta per dedicarsi ai passatempi. Alla fine i Ruini d´epoca avrebbero celebrato la vittoria di Dio contro gli eretici, il trionfo dei Ferrara riconvertiti, dei santi Socci e Pera, con i loro pregiudizi che solo il rinascente anticlericalismo potrebbe trasformare in valori.