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28 Febbraio 2007

Correzione di rotta

Autore: Dario Di Vico
Fonte: Corriere della Sera

Ieri Romano Prodi si è prodotto in uno scatto politico. Il premier ha detto chiaramente che non si limiterà a ricoprire il ruolo di amministratore straordinario di una maggioranza in crisi di vocazione e di consensi. Farà politica, cercherà di tessere dagli scranni del governo la tela delle larghe intese per riformare la legge elettorale. Non lascerà questo compito, gravoso e dall’esito tutt’ altro che scontato, ad altre personalità presenti nella coalizione. L’Unione, almeno nelle intenzioni del suo leader, non mutuerà dal sistema bancario lo schema di governance duale. Le strategie di lungo periodo e l’operatività day by day saranno entrambe allocate a Palazzo Chigi.

La correzione di rotta operata dal premier avrà delle conseguenze positive per il governo e servirà se non altro a segnalare al Paese la presenza di uno spirito diverso, di un impegno maggiore che nel passato a capire le ragioni degli altri, a superare la logica della demonizzazione. Determinato sul futuro politico suo e dell’esecutivo, puntuale nel sottolineare che «manterremo gli impegni presi in Afghanistan», Prodi però è apparso rinunciatario sulle cose da fare.

Nella buona sostanza non si è mosso dal dodecalogo, fingendo di credere che i 12 punti costituiscano di per sé un programma e non siano invece una lista della spesa, seppur in versione accorciata. Eppure senza voler far riferimento all’immancabile fortuna che assiste Romano Prodi, come già fu per il primo governo dell’Ulivo anche questa volta il centro-sinistra gioca con il vento a favore, può sfruttare i vantaggi della ripresa internazionale e del completamento della ristrutturazione di una larga fetta del nostro sistema industriale. E allora dal premier ieri ci si poteva aspettare che cogliesse quest’occasione, che presentasse ai senatori e al Paese le scelte prioritarie che intende attuare per sfruttare la congiuntura favorevole.

In queste settimane gli esperti discutono animatamente se quella in corso sia una ripresa ciclica o abbia un carattere strutturale. Nemmeno per la Germania, che pure appare come la locomotiva della ripartenza europea, ci sono dati così certi da potersi sbilanciare in favore dell’ottimismo, tanto meno per noi che di quel convoglio siamo un vagone, non tra i più lanciati. Non sappiamo quindi se nel 2008 l’Italia tornerà a crescere solo dell’1% e nessuno può dircelo con ragionevole certezza. Ma proprio per questo motivo è sbagliato procrastinare le riforme necessarie per avanzare nel risanamento della finanza pubblica. Da Bruxelles il commissario Joaquín Almunia ci ha chiesto di mettere mano alla riforma delle pensioni, compresa la revisione dei coefficienti. Prodi ieri da Palazzo Madama ha fornito una risposta tutto sommato di maniera, ma è chiaro che dobbiamo assolutamente correggere la sostenibilità del welfare entro il 2007. Con un Pil che cresce bene, drammi non ce ne sono: si possono rivedere i trattamenti pensionistici e si può persino decidere di sfrondare Fannullopoli.