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5 Gennaio 2006

Coop, un’altra finanza è possibile

Autore: Silvano Andriani
Fonte: l'Unità

Si potrebbe supporre che, per quanto riguarda Unipol-Bnl, l’eventuale illegalità dei comportamenti delle persone venga vagliato esclusivamente dalla magistratura seguendo le regole, che le autorità di controllo facciano regolarmente il proprio lavoro e che la validità del progetto industriale venga valutato esclusivamente dai mercati, che peraltro hanno già fornito una risposta positiva all’offerta Unipol.


Resterebbe un interrogativo: perché mai il movimento cooperativo concentra una gran parte delle proprie risorse nel tentativo di edificare un grande finanziario?


Questo interrogativo ha niente a che vedere con la pretesa del presidente di Confindustria di tracciare i recinti entro cui dovrebbero operare gli altri tipi di imprese, quelli concorrenti.

E neanche ha a che vedere con interferenze esterne in decisioni che spettano agli organi aziendali. Ha a che vedere invece con la missione ed il ruolo che il movimento cooperativo intende svolgere nell’attuale fase.

E questo è un tema che dovrebbe interessare certamente anche le forze politiche, tanto più quelle di sinistra la cui cultura è stata una delle matrici del movimento cooperativo. Ma è su di esso che il dibattito appare inadeguato.


La mutazione di una parte importante delle imprese cooperative data ormai decenni. Certo, una buona parte delle attività cooperative ha mantenuto tutte le caratteristiche originarie, ma da quando alcune cooperative di produzione sono diventate grandi imprese, da quando dalle piccole cooperative di consumatori sono nate le coop, da quando è nata Unipol, società finanziaria quotata in borsa, abbiamo a che fare con imprese che non sono più gestite direttamente dai soci fondatori, lavoratori, consumatori o risparmiatori che siano, ma da tecnostrutture specializzate.

Cosa allora lega queste imprese al movimento cooperativo?

Per tentare di rispondere ad una tale domanda mi pare sia opportuno considerare quanto accaduto negli ultimi tempi.

Le imprese cooperative sono uscite dalla crisi che ha colpito l’intero sistema delle imprese italiano dall’inizio degli anni ’90 con una ristrutturazione che ha consentito negli ultimi dieci anni di raddoppiare addetti e fatturato e di mettere in atto una tendenza all’aumento della dimensione delle imprese.

In altri termini le imprese cooperative si sono mosse in controtendenza rispetto ad un’economia in declino ed ad una tendenza italiana al rimpicciolimento delle imprese.


Le ragioni di un tale successo, in ultima analisi, ritengo possano essere ricondotte ad alcune caratteristiche specifiche delle imprese cooperative.

Il fatto che esse non distribuivano gli utili ai propri soci, ma li reivestivano, ha creato un impulso potente alla crescita della capacità produttiva e dell’occupazione.

L’essere sostanzialmente esenti dalla pressione dei mercati finanziari ha consentito ad esse di muoversi con un’ottica di medio-lungo periodo sfuggendo al brevetermismo che è diventato una delle peggiori caratteristiche delle aziende capitaliste a livello mondiale.

L’essere, le grandi imprese cooperative, tra le poche imprese manageriali italiane le ha sottratte ai condizionamenti negativi tipici delle imprese familiari che sono in Italia la struttura portante dell’intero sistema delle imprese.


Più in generale si può dire che il movimento cooperativo aderisce ad una visione dell’impresa alternativa a quella divenuta dominante negli anni ’90, secondo cui compito esclusivo dell’impresa è produrre profitti.

L’altra visione ritiene invece che l’impresa debba nella propria attività contemperare le esigenze dei diversi portatori di interessi, azionisti, lavoratori, consumatori, finanziatori, comunità locali…

Il mondo cooperativo non è solo ad esprimere la visione di un’impresa socialmente responsabile, ma si può dire che essa sia inscritta nel suo dna essendo le imprese cooperative nate non con l’obbiettivo principale di produrre utili, ma per creare occupazione e rendere servizi alla società.


La prima considerazione che si può fare a questo punto è che, se il successo delle imprese cooperative dipende dalla loro diversità tale diversità andrebbe preservata ed ogni idea di omologazione respinta.


E l’interesse della sinistra all’espansione del mondo cooperativo non può certo derivare dalla speranza di introdurre nella struttura del potere economico una sorta di bilanciamento di tipo politico, ma dalla valutazione del contributo che essa può dare all’affermarsi di una visione dell’impresa più corrispondente ai valori della sinistra.


Sin dagli anni ’30 quando l’impresa manageriale fu teorizzata e le sue grandi potenzialità poste in luce, apparve chiaro che il problema principale in essa è il controllo del management.

In una impresa che fa le sue scelte in riferimento a più soggetti interessati il ruolo del management è ancora più complesso poiché esso non è semplicemente l’agente della proprietà ma ha il compito di trovare l’equilibrio tra i vari interessi in campo.


La formazione e selezione di un management attrezzato professionalmente e motivato eticamente sulla base dei valori del mondo cooperativo è uno dei punti su cui il movimento potrebbe, a mio avviso, concentrare l’attenzione.

Definire forme di governance che consentano non solo un adeguato controllo del management, ma rendano espliciti i modi con i quali gli interessi in gioco vengono coinvolti nella gestione dell’impresa, potrebbe essere un altro punto.


E la finanza? Qualcuno ha ricordato che la necessità di dare un polmone finanziario al movimento cooperative è sul tappeto da tempo ed è vero, ma la costituzione di quello che potrebbe diventare il terzo polo finanziario italiano travalica di molto tale esigenza e darebbe vita ad un’entità in grado di fare finanza a tutto campo.

Il paradosso delle istituzioni finanziarie oggi è che esse non sono mai stati più solide e redditizie e nello stesso tempo più criticate.

Ai mercati finanziari si imputa la responsabilità principale della tendenza delle imprese ad operare con ottica di breve periodo, agli investitori istituzionali ed alle banche la scarsa trasparenza, un eccesso di attitudine speculativa ed un crescente distacco dall’economia reale.

Istituzioni finanziarie sono al centro di contenziosi di vario tipo non solo in Italia ma in molti paesi a cominciare dagli Usa.


La domanda allora diventa: è possibile fare finanza in un modo diverso da quello finora prevalente facendo leva su una visione dell’impresa che affermi la responsabilità sociale anche in questo campo?


Ritengo che lo sia, che sia possibile essere non solo più trasparenti, ma anche meno propensi a trasferire troppi rischi ai risparmiatori come oggi avviene; che sia possibile collegare l’introduzione di componenti private nei sistemi pensionistici all’erogazione di nuovi servizi alla persona nel quadro di una riforma decentrata del welfare sostenendo la creazione di un terzo settore; che sia possibile un’attitudine più attiva verso l’economia reale che implichi anche la capacità delle istituzioni finanziarie di assumere parte delle funzioni imprenditoriali e sopratutto sia possibile stimolare la nascita di nuovi imprenditori e manager allargando la base sociale della selezione e non solo attraverso le cooperative; che sia possibile sperimentare anche nelle istituzioni finanziarie forme di governance che diano voce ai principali interessi che su esse gravitano.


Giunto al culmine di una fase di formidabile rinnovamento ed emerso ormai come una dei soggetti vincenti dell’economia italiana, il movimento cooperativo forse deve a se stesso ed alla società una riflessione più approfondita sulla propria natura e sulla propria missione oggi.