18 Febbraio 2005
Colombo: “Sharon un grande personaggio”
Autore: Aldo Cazzullo
Fonte: Corriere della Sera
ROMA – Furio Colombo, lo storico Michael Oren ha spiegato sulla rivista liberal The New Republic come la sinistra israeliana abbia cambiato il suo giudizio su Sharon. E quella italiana «Non parlo a nome della sinistra italiana, che è un mondo complesso. Il caso di Sharon non richiede di essere protagonisti di uno dei tanti pentimenti in corso nel mondo, non è come cambiare idea sull’Iraq ora che ha vinto al Sistani. Il caso di Sharon è la vicenda straordinaria di un uomo che ha avuto un ruolo drammaticamente spostato a destra nella vita politica del suo Paese, in un momento di particolare rischio, quando Israele si difendeva a oltranza dal pericolo di cessare di esistere; e che è cambiato con il cambiare della situazione, anzi un attimo prima».
Cioè il nuovo Sharon comincia prima dell’avvento di Mahmoud Abbas?
«Sì. L’uomo più duro della destra israeliana è andato in cerca della sinistra, di Peres, di un governo di unità nazionale, per dare maggiore forza ad accordi che in quel momento non erano ancora all’orizzonte, ma erano forse già nelle sue intenzioni. Questo almeno mi aveva detto l’ultima volta che ci siamo parlati».
Quando è stato?
«A Roma, nel novembre 2003, Sharon mi confidò: “Conosco il suo pregiudizio contro personaggi come me. Ma le dirò che sarò io a fare la pace. La sinistra non potrebbe, perché ci vuole un consenso molto ampio che la sinistra non avrebbe. Io invece ce la farò”. Rimasi colpito dal tono di promessa, di impegno; anche perché Sharon non era tenuto a farlo, tanto meno con un giornalista italiano. Occorre riconoscere che è stato di parola. Ha rivelato le doti del grande personaggio: è cambiato mentre poteva e doveva cambiare. E’ tipico di personaggi modesti vantarsi di essere sempre rimasti se stessi».
Non le pare che la sinistra italiana sia in ritardo nel riconoscere la novità?
«C’è a sinistra un antico pregiudizio nei confronti di Israele, visto come parte potente e prepotente nei confronti di una parte occupata e disperata. Quando nel 1991 pubblicai un libro dal titolo Per Israele , allegato all’ Europeo diretto da Vittorio Feltri che quella volta vendette 600 mila copie, registrai posizioni nettamente antisraeliane, ma anche l’avvio di radicali revisioni. E il primo a raccogliere questo spunto fu Piero Fassino».
Quindi il pregiudizio non riguarda Sharon ma Israele?
«Detti e chiariti i retaggi antisraeliani sia della cultura cattolica sia della veterosinistra, c’è un’altra cosa da dire. La sinistra è continuamente accusata di pentimenti e revisioni su tutto, ora su Sharon e gli Anni ’70, domani magari su Cuba. Ma ci sono molti più cambiamenti, aggiornamenti, riflessioni a sinistra che a destra. E’ raro trovare a sinistra nostalgici di Stalin, ma è frequente trovare a destra nostalgici di Mussolini».
I manifestanti vestiti da kamikaze si sono visti nei cortei di sinistra.
«Sempre pochi e sempre meno delle curve fasciste, dei cimiteri ebraici profanati, delle invocazioni da destra di rimettere gli ebrei nei forni. Erano quattro disgraziati, che provocarono il ritiro di rappresentanze politiche più consapevoli. Ma non si sono mai visti né a Genova né al Social Forum di Firenze. Sì, ci sono stati a sinistra ritardi nel rivedere certi aspetti fondamentali, nel non capire quale trasformazione paurosa avevano portato le bombe umane, nel non vedere la disperata grandezza dell’orrore dei kamikaze, nel pretendere e pensare che Israele potesse reagire in modo “usual” di fronte alle stragi sugli scuolabus. Ma è meno di quanto continua ad accadere a destra. Il saluto romano di Di Canio significa ripetere sì allo sterminio degli ebrei, e deve ispirare altrettanto furore e altrettanta ripulsa».
Lei ricordava la sensibilità di Fassino per la questione ebraica. Nei Ds sono diffuse anche sensibilità, ad esempio quella di D’Alema, non necessariamente in contrasto ma orientate piuttosto verso la questione palestinese. Non crede?
«Sono un osservatore poco adatto. Non vivo all’interno del partito; ho più contatti con Fassino che con D’Alema, ma mi pare che anche lui, da politico attento ai cambiamenti qual è, abbia colto la novità di Sharon».
Ha mai avuto discussioni o scontri in redazione al riguardo?
«Scontri mai, discussioni sì. Il giornale aveva una sua tradizione non propriamente vicina a Israele, legata a un antico e nobile sostegno al Terzo Mondo che però commetteva un errore nei confronti dello Stato ebraico; anche se Veltroni quand’era direttore ha sempre ospitato i miei interventi in sostegno di Israele. In redazione ci siamo confrontati a lungo, abbiamo ospitato l’ambasciatore Ehud Gol in un forum durato quattro ore, pubblicato gli articoli di Amos Luzzatto e di Arthur Hertzberg, vicepresidente del Congresso ebraico mondiale. E ho avuto la fortuna di trovare qui uno dei giornalisti più informati ed equilibrati, Umberto De Giovannangeli».
Un critico le potrebbe obiettare che la demonizzazione di un avversario può rendere impossibile il dialogo o preparare retromarce future.
«La parola demonizzazione non esiste nel linguaggio politico degli altri Paesi. E’ un’invenzione della corte di Berlusconi. Altrove si chiama critica. Non c’è niente di più bello che sbagliarsi in un giudizio negativo; che può cambiare non perché ci si è sbagliati, ma perché è cambiata la persona. Nel caso italiano non se ne vedono segni».
E nel caso della seconda amministrazione Bush?
«Ho seguito con simpatia lo stile e i modi del primo viaggio europeo di Condoleezza Rice. Non c’è dubbio che il personaggio abbia stile, eleganza, qualità comunicativa di prim’ordine. Non so se alla forma corrisponderà la sostanza. Io davanti ai neocon, che finora hanno condizionato la visione di Bush, rizzo il pelo come un gatto di fronte ai cani. Però adesso ho assistito a un passaggio pieno di buone qualità. Attendiamo con rispetto e comprensione di sapere quale sarà l’approdo».