25 Gennaio 2006
Codici elettorali
Autore: Carlo Federico Grosso
Fonte: la Stampa
In un convulso finale di legislatura, la maggioranza sta cercando di
approvare le sue ultime leggi.
I problemi si sono d’altronde complicati dopo che
il Capo dello Stato ha rinviato al Parlamento l’abolizione dell’appello del
pubblico ministero per palese illegittimità costituzionale. In questo contesto,
il governo ha addirittura ipotizzato di protrarre i lavori parlamentari oltre i
tempi concordati, e di riapprovare senza nessun cambiamento la legge bocciata.
Uno schiaffo evidente ad ogni regola costituzionale.
Fra le leggi da qualche tempo all’ordine del giorno della Camera, c’era la
riforma della legittima difesa. Sembrava che fosse stata dimenticata. Ieri è
stata invece votata in via definitiva. Ad evitare l’ennesima infelice
modificazione del sistema penale non è bastato il motivato dissenso manifestato
da alcuni autorevoli professori di diritto penale e da esponenti di spicco della
magistratura e dell’avvocatura. Nella maggioranza parlamentare ha prevalso la
convinzione che un provvedimento apparentemente diretto a tutelare la sicurezza
dei cittadini, ma destinato a sollecitare gli istinti della parte meno avveduta
della opinione pubblica, potesse attirare qualche consenso in più alle prossime
scadenze elettorali.
Secondo l’articolo 52 del codice penale poteva invocare la legittima difesa
chi era stato costretto a commettere un reato dalla necessità di difendere un
diritto, anche meramente patrimoniale, contro il pericolo di una offesa
ingiusta, alla condizione che la difesa fosse proporzionata alla offesa. Questa
norma, correttamente interpretata, era del tutto idonea a realizzare un
equilibrato contemperamento fra la esigenza di assicurare il diritto di
difendersi a chi si trovava in pericolo a cagione della aggressione di un
malvivente, e di garantire nel contempo che l’esercizio di tale diritto non si
trasformasse in arbitrio a causa della eccessività della reazione.
Faccio qualche esempio. La vittima di una tentata rapina, sulla base
dell’originaria disciplina dell’articolo 52, poteva cagionare all’aggressore che
mirava a sottrargli oggetti di valore danni fisici o addirittura la morte,
quando il contesto in cui la vicenda si sviluppava era tale da non escludere
che, nella concitazione, l’aggredito potesse subire a sua volta danni alla sua
integrità fisica.
Se c’era il rischio di perdere i risparmi di una vita, la
reazione disperata di chi rischiava di dovere sopravvivere di stenti con la sua
famiglia poteva essere considerata a sua volta proporzionata alla uccisione
dell’aggressore.
In ogni caso, quand’anche non fosse stato individuabile,
oggettivamente, pericolo alla vita o alla incolumità, l’aggredito che lo avesse
erroneamente temuto avrebbe potuto invocare la applicazione della difesa
legittima putativa. Unico limite all’applicazione della esimente rimaneva,
secondo il citato orientamento interpretativo, la sproporzione evidente fra i
beni contrapposti.
Ad esempio, non avrebbe potuto restare impunito chi avesse
ferito il ragazzino che gli stava rubando dei frutti in giardino, o chi avesse
ucciso chi gli stava sottraendo in casa qualche gioiello cercando di non fare
rumore.
La riforma introduce una brusca modificazione della situazione di
ragionevole equilibrio raggiunta. In un nuovo comma 2 dell’articolo 52 del
codice penale essa prevede che quando l’aggressione avviene nel domicilio della
vittima, ovvero in un luogo in cui è esercitata un’attività commerciale,
professionale o imprenditoriale, il rapporto di proporzione «sussiste comunque»
qualora si utilizzi un’arma detenuta legittimamente o un altro mezzo di difesa.
Si introduce, in altre parole, una sorta di presunzione di proporzione.
Così, il mutamento rispetto alla disciplina precedente è radicale:
qualunque sia il pericolo cagionato dall’aggressore, l’aggredito è legittimato a
reagire con una difesa che viene per legge dichiarata proporzionata alla offesa.
Per ritornare agli esempi appena formulati, anche l’uccisione del ragazzino che
cerca di impossessarsi di qualche frutto potrebbe a questo punto diventare
legittima, anche l’uccisione del ladro silenzioso potrebbe essere considerata a
sua volta proporzionata, anche l’uccisione del rapinatore che usa un’arma
palesemente inidonea ad uccidere o ferire potrebbe risultare scriminata. Mentre
si tratta, nella sostanza, di veri e propri omicidi.
I sostenitori della nuova disciplina sosterranno che essa serve a
rassicurare finalmente le vittime delle tentate rapine nelle abitazioni o nei
luoghi commerciali, dove sono frequenti le aggressioni, eliminando ogni margine
di incertezza sulla liceità o illiceità della reazione, ed evitando che il
cittadino onesto che si difende contro il delinquente che lo aggredisce continui
a correre il rischio di un processo, se non addirittura di una condanna penale.
Ma, secondo l’interpretazione corrente del concetto di reazione proporzionata di
cui all’originario articolo 52 del codice penale, chi si fosse difeso nei limiti
della ragionevolezza non avrebbe mai corso rischi di questo tipo.
In questa prospettiva la riforma approvata dal Parlamento si rivela per un
verso inutile. Essa appare per altro verso sicuramente dannosa.
In primo luogo
perché legittimerà coloro che sono aggrediti nei luoghi indicati a difendersi
senza remore o limitazioni, e magari ad ammazzare, senza nessuna ragione di
tutela personale, soltanto per difendere beni patrimoniali. Introducendo in
questo modo una sorta di licenza di uccidere.
Ma anche perché, con il
riferimento all’uso delle armi «legittimamente possedute», indurrà
implicitamente i cittadini a dotarsi di armi. Si tratta di un invito implicito
ad una violenza di tipo «americano» del quale si sarebbe francamente fatto a
meno.