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23 Novembre 2006

Chi salva Beirut salva il mondo

Fonte: la Repubblica
Disse Giovanni Paolo II visitando il Libano: «Questo non è un Paese, è un messaggio».
Ha detto ieri Benedetto XVI: «Forze oscure vogliono distruggerlo».
Combinando le due affermazioni: forze (in realtà niente affatto oscure) vogliono distruggere un messaggio. Quale? Un altro mondo è, se non possibile, pensabile. E il testimonial di questa idea era Beirut. Era, perché gli eventi in corso inducono a immaginare, nel giro di pochi anni, il suo riassorbimento nell´orbita di quello spazio asfittico in cui si trovano le altre capitali arabe, strangolate, loro e chi le abita, tra le imposizioni di un regime politico e quelle di una religione. È un destino che dovrebbe indurre alla tristezza tutti gli spiriti liberi e tolleranti.
Invece troppi guardano con perdurante indifferenza a quel che accade in un luogo ritenuto martoriato pressoché per vocazione. Ma Beirut è oggi la farfalla il cui battito d´ali (o, peggio, il cui mancato batter d´ali) può provocare un terremoto altrove. In un qualsiasi altrove, compreso quello in cui stiamo vivendo. Perché Beirut era il messaggio. Lo aveva chiaro non soltanto Papa Wojtyla, ma anche l´ayatollah iraniano che, all´accendersi della miccia tra Hezbollah e Israele gongolava: «Volevano fare di Beirut un´avanguardia dell´occidentalizzazione, invece ce la riprendiamo». La città non era questo, era molto di più. Era un condomino orizzontale dove la convivenza, faticosa, pericolante, era pratica quotidiana.
Risorto sulle macerie di una guerra civile, popolato da anime vaccinate proprio da quell´esperienza, ammetteva diciassette diverse confessioni religiose e infiniti stili di vita. Agli orientalisti Beirut non piaceva: non trovavano neppure un suq da cui portare a casa tappeti e stoffe a buon mercato. Agli occidentalisti nemmeno: giudicavano incompiuta la sua metamorfosi, fiutavano resistenza. Una città senza (più) identità, culla d´elezione di chi non ne sente il bisogno e ne detesta la strumentalizzazione. Terra promessa di chi vuole le fumerie di narghilè e i bar con alcolici perché ama entrare in entrambi, ma altrettanto desidera la compresenza di chiese e moschee benché non metterebbe piede né nelle une né nelle altre. Era uno straordinario equilibrio reso possibile dalla presenza di funamboli, uomini contraddittori, appartenenti a più mondi e a nessuno.
Transfughi dalla propria origine, eretici o ipocriti a seconda dei punti di vista, corrotti forse, in senso spirituale sicuramente, ma comunque garanti di quell´esperimento perché incapaci di vivere in una condizione unidimensionale. Uomini come Rafik Hariri o Gebran Tueni, musulmano sunnita il primo, cristiano maronita il secondo. Uomini morti e sepolti. E con loro quel che non era un ideale, ma un´aspirazione pratica: convivere. Forze (niente affatto oscure) non vogliono che accada. Al cinico interesse che ha la Siria di risospingere indietro la storia del Libano se ne sono aggiunti altri. L´alleanza tra Damasco, Teheran e l´Hezbollah non è nata ieri.
Neppure è nata il giorno in cui Nasrallah riempì per la prima volta la piazza della capitale convocando il suo popolo per quello che, raccontò a chi voleva crederci, era un «arrivederci e grazie» agli uomini di Damasco. È un patto precedente e, come tutti i patti di quelle lande, è stato siglato con il sangue. Non necessariamente quello dei firmatari. Colpiti dalla veemenza di Israele molti libanesi, in precedenza di tutt´altro avviso, si sono trasformati in sostenitori di Hezbollah. In nome della critica a Israele molti in Occidente ne sono diventati ammiratori. Al movimento che già controlla il Sud del Libano si possono riconoscere alcuni pregi: senso etico, solidarietà interna, perfino un quasi realizzato socialismo. Ma una Beirut sotto il controllo di Nasrallah sarebbe una città «normalizzata», diversa da Tiro soltanto per estensione e numero di abitanti, la fine di un esperimento. Nel mondo radicalizzato che si sta disegnando dopo l´11 settembre 2001 la sopravvivenza di questi luoghi in via d´estinzione dovrebbe premere a tutti.
Nel nostro possibile futuro contano ben più dei patrimoni naturali dell´Unesco. Sono oasi nel deserto dell´omologazione. Difendere l´anomalia di Beirut significa anche proteggere ogni nostra eventuale scelta: nella politica, nella fede, nella vita. Come è possibile? Anzitutto smascherando le forze niente affatto oscure. Dando un volto a tutti coloro che hanno partecipato alla concertazione della catena di omicidi cominciata il giorno di San Valentino del 2004 con l´omicidio di Rafik Hariri. Scongiurando un accordo sotto il tavolo in cui l´attività di un tribunale internazionale venga barattata con qualche forma di desistenza in altri scenari.
Una della vittime della serie di assassinii, Samir Kassir, ha lasciato un libro dal titolo “L´infelicità araba”. La distruzione del Libano e del tentativo che rappresenta provocherebbe un´infelicità universale, perché il messaggio sarebbe: nessuna convivenza è più possibile.