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27 Ottobre 2005

Chi frena il partito delle primarie

Autore: Gad Lerner
Fonte: La Repubblica

Caro direttore, vorrei inserirmi sulla scia dell´importante contributo
d´analisi di Giuliano Amato e Arturo Parisi sulle primarie ospitato ieri da
Repubblica (lo condivido parola per parola) proponendo alcune questioni di
natura venale ma, temo, ineludibili. Se proviamo infatti a metterci nei panni
dei dirigenti dei due principali partiti del centro-sinistra, ci rendiamo conto
di come tocchi loro fronteggiare, in seguito all´imprevista accelerazione del
processo di integrazione politica, una serie di dilemmi assai concreti.”La
riapertura del cantiere dell´Ulivo nella duratura prospettiva di un Partito che
unisca al suo interno tutti i democratici” (Amato e Parisi) non è faccenda che
possa risolversi solo ricominciando un dibattito di natura ideologica
sull´incontro fra socialisti, liberal e post-popolari. Se vogliamo evitare le
fumosità, meglio esaminare subito con trasparenza il contesto pratico in cui
tale incontro dovrebbe realizzarsi. Dove si materializzano seri ostacoli
sottaciuti in quanto considerati – chissà perché – “poco presentabili”. Il punto
di partenza ormai acquisito è la decisione di presentare una lista dell´Ulivo
guidata da Romano Prodi alla Camera dei deputati. È senz´altro un fatto politico
di enorme rilevanza che non si sarebbe mai realizzato se la partecipazione dei
cittadini alle primarie del 16 ottobre non avesse doppiato le più rosee
previsioni, giungendo a coinvolgere addirittura il 29% dell´elettorato che nelle
ultime consultazioni nazionali (le europee del 2004) aveva votato per l´Unione.
A Francesco Rutelli sono bastate ventiquattro ore per captare il segnale e
riconoscere la necessità di una lista dell´Ulivo nel luogo decisivo della sfida
politica italiana: la convergenza di tre quarti degli elettori sul nome di Prodi
ha infatti evidenziato come il processo di integrazione delle componenti
riformiste dell´Ulivo fosse giunto a maturazione nella base popolare del
centro-sinistra e nella società. Così Romano Prodi potrebbe tornare a svolgere
la funzione del federatore, se non addirittura del fondatore di un nuovo
soggetto politico, emancipandosi dalla mera funzione “tecnica” di candidato
premier senza partito. Fin qui tutto bene, anzi, benissimo. Ma non è certo un
caso se a questo punto – realizzato da Rutelli il decisivo passo in avanti della
riesumazione elettorale dell´Ulivo – sono tornati a occupare la scena altri
politici con i piedi per terra, in veste di frenatori. Fra loro, in particolare,
gli stessi esponenti dei Ds che potevano in precedenza farsi comodamente scudo
del “no” di Rutelli all´Ulivo per dissimulare le loro perplessità. Naturalmente
gli argomenti dei frenatori sono ragionevoli: un partito non s´inventa dall´oggi
al domani; scardinare l´assetto attuale può produrre scissioni anziché unità; le
minoranze hanno diritto a una rappresentanza; non potete chiederci di lasciare
il Partito socialista europeo; col nuovo sistema proporzionale si corre il
rischio di disperdere voti… Non a caso le perplessità si sono concentrate su un
dettaglio in apparenza secondario, cioè la proposta di Prodi che gli eletti
della lista dell´Ulivo diano vita alla Camera a un gruppo parlamentare unitario
guidato – com´è ovvio – da un solo capogruppo. È evidente che nel gruppo
parlamentare unitario si esprimerebbe il nucleo fondativo del nuovo soggetto
politico. Molto meglio, si sente obiettare da più parti, procedere per tappe.
Accontentiamoci della lista unitaria, che è già un grosso risultato. Dopo di che
i deputati ulivisti si separino, ciascuno nel suo partito, dando vita a gruppi
parlamentari distinti ma tra loro federati. Può darsi che sia saggio
accontentarsi del grande passo in avanti già conseguito. Purché arriviamo a
dirci fra noi il vero perché. Non occorrerà qui dilungarsi sull´ovvio: i partiti
rappresentano l´unica ossatura possibile della democrazia parlamentare. Dunque
impegnarsi a stringere i tempi della nascita di un nuovo soggetto politico –
Ulivo o Partito Democratico che dir si voglia – non ha niente a che vedere con
la retorica “anti-partito” di una società civile contrapposta alle forze oggi
già consolidate. Nessuno nega la funzione insostituibile, benché provvisoria,
delle attuali formazioni politiche. Ma sarà pure lecita, in questo passaggio,
una serena riflessione sulla conformazione sociologica dei due principali
partiti del centro-sinistra italiano così come essa viene determinata sia dalla
loro vicenda storica, sia dalla legislazione vigente. Al di là dei valori, degli
interessi, della rappresentanza sociale e territoriale, i nostri partiti sono
fatti di una imprescindibile costituzione materiale sedimentata. In poche
parole, i partiti sono anche comunità di uomini e di donne, un intreccio di
destini personali, contengono storie di dedizione e hanno il dovere di garantire
un futuro gratificante a chi gli ha dedicato la vita. Guai a scandalizzarsene.
Il problema esiste e va affrontato senza facili moralismi qualunquistici sugli
“apparati”. Certo, è accaduto che un richiamo pretestuoso all´inconciliabilità
delle tradizioni e delle identità mascherasse tendenze alla lottizzazione,
sempre incoraggiate dall´assetto particolare dei poteri italiani. Mario Pirani
lo ha deprecato più volte su Repubblica: riposta nel cassetto l´idea dell´Ulivo,
i partiti si sono affrettati a dislocare come sempre i “loro” uomini nelle
Authority, alla Rai, e giù per li rami fin nelle aziende sanitarie. La nascita
di un grande partito unitario dei riformisti servirebbe anche a salvaguardare la
rappresentanza politica da eccessi di condizionamento economico e finanziario,
diluendo legami purtroppo abituali in questa nostra patria del conflitto
d´interessi. Mi fermo qui, anche se l´analisi della costituzione materiale dei
partiti andrebbe approfondita con ben altro rigore. Forse questi pochi cenni
basteranno a spiegare le cause di tanta diffusa contrarietà all´ipotesi prodiana
di gruppi parlamentari dell´Ulivo. L´esigenza di mantenere in vita gruppi
parlamentari separati – sia pure federati – deriva dalla volontà (necessità?) di
conservare a ciascun partito il proprio autonomo approvvigionamento finanziario.
Ciò spiega del resto perché anche nelle regioni in cui nell´aprile scorso si
presentò la lista unitaria dell´Ulivo, subito dopo gli eletti hanno dato vita a
gruppi consiliari separati. Per com´è stata sapientemente concepita la
legislazione vigente in materia di finanziamento ai partiti (ma anche le
normative sulla costituzione e il funzionamento dei gruppi parlamentari e
consiliari), gli architetti del futuro Partito Democratico sanno benissimo di
dover fronteggiare meccanismi che incentivano semmai la separazione, non certo
l´unificazione tra soggetti limitrofi. Unirsi, nella politica italiana, non è
mai conveniente sul piano materiale. La legge 156 intitolata “Disposizioni in
materia di rimborsi elettorali”, approvata con un blitz in sede legislativa
(cioè senza passare attraverso un dibattito in aula) il 26 luglio 2002, ha
garantito un cospicuo finanziamento pubblico ai partiti, risultando assai
vantaggiosa sia per quelli più grandi che per le forze cosiddette minori. Non è
questa la sede per rievocare le modalità frettolose con cui si pervenne a un
compromesso vantaggioso per tutti. Fatto sta che oggi in Italia i bilanci dei
partiti derivano per il 70% da contributi statali. Tra rimborsi elettorali,
stipendi degli eletti e emolumenti destinati ai loro collaboratori, i partiti
hanno trasferito in larga misura sulla collettività l´onere del sostentamento
dei loro attivisti, per un totale calcolato di circa 470 milioni di euro in
cinque anni. Ciò non significa che nuotino nell´oro, ma è un fatto che sono
circa 350 mila le persone che in Italia vivono di politica. Molte. Anzi,
moltissime a paragone di quanto avviene negli altri paesi europei. Qualsiasi
semplificazione del sistema politico dovrà fare i conti realisticamente con
questi dati. Nessuno può pensare che la stagione del Partito Democratico
s´inauguri come una pagina bianca, nell´ingenua convinzione che tanto
“l´intendenza seguirà”. Ma certo da qualche parte bisogna pur cominciare. Se il
progetto di ricambio di classe dirigente per il governo del paese dell´Unione
prevede anche una riforma della partecipazione politica, come le primarie del 16
ottobre sembrano felicemente anticipare, allora bisognerà dare il buon esempio.
Con gradualità, ma si attribuiscano al nuovo soggetto politico dell´Ulivo le
risorse per camminare sulle sue gambe. E lo si faccia nella massima trasparenza,
evitando che la paura dell´ignoto freni sul nascere il necessario consolidamento
del nuovo soggetto politico. Del resto l´esperienza della felice domenica
d´ottobre evocata da Amato e Parisi ci dimostra che può trattarsi di un ottimo
investimento. Non solo politico.