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31 Agosto 2005

Che cosa vuol dire essere laici oggi

Autore: Giuliano Amato
Fonte: la Repubblica

Sino a poco più di cento anni fa, nei tanti e sanguinosi conflitti intercorsi fra cristiani e musulmani nel sud est dell´Europa erano i cristiani che usavano crocifiggere le bambine musulmane, in qualche caso sventrandole. È oggi inconcepibile. E credo che tutti vogliamo che inconcepibile rimanga.


Se così è, dubito che le due strade, sulle quali più sembra orientarsi il dibattito in Italia in tema di rapporti interreligiosi, siano tali da evitare che tali rapporti divengano conflittuali.

Il che non significa che esse portino necessariamente verso il ripetersi dei tremendi episodi che la nostra storia ha sulla coscienza. Ma di sicuro portano a minare la basi stesse della fisiologia democratica che tutti riteniamo il naturale contesto della nostra vita associata. In società nelle quali sono destinate a convivere più comunità di religione diversa, solo se tali comunità saranno in grado di rendere armonica la convivenza delle loro religioni, sarà possibile quella più generale convivenza fatta non solo di tolleranza, ma di rispetto, di comprensione e in qualche modo di compenetrazione reciproca che è propria delle democrazie. Se invece i rapporti interreligiosi saranno conflittuali, tutto ciò sarà semplicemente impossibile. E accadrà qualcos´altro.


A quali strade mi riferisco e perché dubito di entrambe

Mi riferisco da un lato alla strada suggerita con forza dai nostri “teocons”, autorevolmente guidati dal presidente del Senato, che porta alla fede cristiana come fattore dirimente, e “ad excludendum alios”, della nostra identità occidentale ed europea. Dall´altro alla strada in qualche modo opposta, che, richiamandosi al tradizionale laicismo di radice francese, confina il fattore religioso ai rapporti privati e fonda non solo la cittadinanza, ma quella che si chiama la sfera pubblica su valori e principi soltanto civili.


La strada “teocon” è quella di cui è più facile cogliere la carica conflittuale, che conflittuale finisce per essere con gli stessi valori a cui si richiama. Una cosa è infatti dire che i valori cristiani possono concorrere con efficacia a mantenere vivo e robusto il tessuto etico delle nostre società, una cosa diversa è ergerli come fattori costitutivi di un´identità da affermare contro quella di altre religioni, in particolare la religione islamica, trattate e fatte percepire come pericolose per i fondamenti stessi della nostra civiltà e quindi nemiche.

Si fa torto così alla religione islamica, che viene confusa con l´estremismo islamista che odia e uccide in suo nome. E si fa torto allo stesso cristianesimo, che è religione fondata sull´amore e non sull´odio, sul riconoscimento dell´altro quand´anche appartenga a una fede diversa (“in ogni uomo c´è il segno di Dio”) e su una vocazione per ciò stesso universalistica, che è contraddetta da qualunque impossessamento, che pretenda di segnare con essa i propri confini.


Ben diversa è, come dicevo, la seconda strada (quella del laicismo di radice francese), che, una volta confinata la religione, e quindi la stessa pluralità delle religioni, ai rapporti privati, accetta per ciò stesso la convivenza di più religioni, attribuisce a tutti i suoi cittadini gli stessi diritti a prescindere dalle loro appartenenze religiose e pretende infine da tutti lo stesso riconoscimento nei principi e nei valori definiti come comuni nelle sedi istituzionali a ciò legittimate.

Sono ben consapevole che questi tratti non identificano soltanto il laicismo e definiscono largamente la stessa democrazia, per la quale non sono meno irrinunciabili. C´è tuttavia un ma, e il ma riguarda la premessa, vale a dire la chiusura delle religioni ai rapporti privati e quindi la loro estraniazione dalla sfera pubblica, nella quale i cittadini entrano lasciando a casa le loro identità, le loro credenze, i loro simboli religiosi.

Una tale premessa ha avuto una sua forte legittimazione storica, negli anni in cui la laicità dello Stato dovette affermarsi contro il confessionalismo, contro la religione di Stato, contro il trattamento preferenziale dei credenti di una religione rispetto ai non credenti e ai credenti in altri culti (ora proibiti, ora ammessi ed ora tollerati).


Ma oggi, da una parte tutto questo è superato, dall´altra viviamo in società nelle quali le identità religiose tendono ad entrare con forza nella sfera pubblica, sia per la problematicità delle nuove questioni che in tale sfera ci si trova ad affrontare (quelle che fanno capo alla bioetica ne sono un esempio eloquente); sia per gli intrecci che sono venuti emergendo tra sfera privata e sfera pubblica (il professare compiutamente la propria fede può implicare adattamenti di organizzazioni pubbliche alle quali si è temporaneamente affidati, si tratti della scuola o del reparto di ostetricia); sia perché si ritiene un proprio diritto essere riconosciuti anche per la religione che si professa (molte ragazze portano lo chador nei nostri paesi, non in nome della tradizione islamica, ma perché lo vivono come simbolo orgoglioso della propria identità religiosa).

Viviamo insomma, come è stato scritto più volte, in società post secolari e in esse la vecchia premessa del laicismo non regge più. E tanto meno regge in società che stanno diventando multi-religiose e nelle quali i possibili conflitti fra le religioni non si risolvono, continuando a mantenerle nella sfera privata: da un parte ciò è sempre più difficile per le ragioni appena dette, dall´altra fa galleggiare la democrazia delle eguaglianze formali su faglie che possono avviarsi ad uno scontro, che l´assetto di superficie non è preparato a fronteggiare.


Non si sfugge perciò ad una prima conclusione: le religioni sono ormai parte della sfera pubblica e i principi fondanti della democrazia (il dialogo e non l´intolleranza, i diritti per tutti e non i privilegi per alcuni, gli eguali obblighi in cui si compendia la virtù civica) vanno salvaguardati non mettendo le religioni sotto il tappeto, ma rendendo dialogica e non

intollerante la loro compresenza nella convivenza comune.

Ne derivano conseguenze importanti, che esigono non l´abbandono, ma l´aggiornamento della nozione stessa di laicità e che fanno sorgere cruciali responsabilità in capo a credenti e a non credenti e in capo alle stesse organizzazioni religiose.

La laicità, in quanto connotazione necessaria della democrazia, diviene non più fuga dalle religioni, ma apertura critica al confronto con esse e fra di esse, alla ricerca dei principi in cui tutte e tutti si possano riconoscere. Si dirà che ciò mette in crisi o la laicità, incompatibile con le verità assolute proprie delle religioni, o le stesse religioni, che a tali verità non possono rinunciare. Ma non è così.

E´ vero infatti che la democrazia laica per definizione non tollera assoluti inconciliabili, ma è non meno vero che essa stessa si fonda su taluni assoluti: la dignità della persona, la libertà di coscienza, l´eguaglianza, il rispetto dei diritti di tutti e quindi la pace, che è a sua volta legata alla capacità di capire e non negare le buone ragioni degli altri.


Stato laico, allora, ben può essere quello che rispetta e fa rispettare questi assoluti, che nega in nome loro privilegi all´una o all´altra religione, ma non nega, invece, l´influenza che le religioni possono avere nella stessa vita pubblica (come scrisse, già molti anni fa, Valerio Zanone nella voce “laicismo” per il Dizionario di Politica diretto da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino).

Mentre l´influenza delle religioni nella vita pubblica ben può esprimersi e farsi valere nel radicare ed estendere la forza nelle coscienze di questi stessi assoluti, che sono quelli su cui hanno dimostrato di convergere, sia pure tra perduranti difficoltà e incomprensioni, i dialoghi interreligiosi susseguitisi in questi anni.


Ma è chiaro che tutto ciò è possibile, se della ricerca dei principi comuni o quanto meno della compatibilità fra i principi di ciascuno si sentono, come dicevo, responsabili credenti e non credenti e le stesse organizzazioni religiose. Anche tra i non credenti affiorano assoluti (dalla libertà senza limiti della scienza a un diritto di disporre di sé che arriva ad includere la vita), che vanno resi compatibili con le ragioni di chi non li condivide.


Mentre non tutte le religioni sono riuscite sino ad oggi ad accettare che le loro verità di fede non possono essere imposte, ma devono entrare nelle coscienze di chi le fa proprie e non coartare quelle degli altri.


In un tale ingresso delle religioni nella sfera pubblica dello Stato laico, il ruolo del cristianesimo, lungi dall´essere quello teorizzato dai teo cons, è quello indicato dalle “radici” cristiane, delle quali tanti dei loro improvvisati assertori sembrano ignorare l´humus prezioso che esse hanno fornito all´Europa: il valore della persona, la dignità umana riconosciuta a ciascuno e, non dimentichiamolo, i primi fondamenti dei diritti individuali inalienabili, che gli storici fanno risalire, prima ancora che ad Altusio e a Grozio, al diritto canonico e ai canonisti medioevali.

Del resto, i meritori perdoni che Giovanni Paolo II ha chiesto per gli errori del passato non sono stati un richiamo a queste radici, un ripudio dei rami dell´intolleranza che erano cresciuti su di esse e la premessa per fare del cristianesimo non il baluardo dell´Occidente, ma l´antesignano e il motore di un dialogo fra le religioni (e non solo fra loro), che concorra ad evitare al mondo il futuro di una Babele armata


Questa è dunque la strada, l´unica strada per evitare Babele non solo nel mondo, ma in ciascuna delle nostre società. Tutti dobbiamo essere laici. Tutti, per esserlo, dobbiamo misurarci con i valori degli altri, religiosi e non religiosi.

Tutti dobbiamo sapere che alla fine non c´è una “correttezza” politica e morale senza scelte e senza priorità, ma ci può e ci deve essere la condivisione più larga possibile di quegli assoluti che, partiti da radici religiose ed elaborati poi dal pensiero razionalista post rinascimentale, sono divenuti fondanti delle democrazie del nostro tempo.


Lo disse l´allora cardinale Ratzinger che l´alleanza tra fede e ragione è essenziale per combattere il fanatismo. E di questo appunto si tratta