2222
19 Dicembre 2005

Cassazione e pm una legge sbagliata

Autore: Vittorio Grevi
Fonte: Il Corriere della Sera

Se il previsto calendario verrà confermato, domani approderà nell’aula del
Senato il disegno di legge di iniziativa del deputato Pecorella, già approvato
dalla Camera, e recante modifiche in materia di impugnazioni penali. In
particolare, da un lato, nel senso di escludere la appellabilità delle sentenze
di proscioglimento a opera del pubblico ministero; e, dall’altro, nel senso di
allargare notevolmente le maglie di ammissibilità del ricorso per
cassazione.

Siamo di fronte a modifiche che, essendo tra l’altro sganciate da qualunque
organico disegno di rielaborazione sistematica della materia, hanno già
suscitato in sede parlamentare gravi perplessità, per la loro approssimazione e
per la loro irragionevolezza, anche presso molti esponenti delle forze di
maggioranza. Ma che, soprattutto, hanno incontrato forti dissensi tra i docenti
di diritto e di procedura penale, come emerge da un durissimo documento
approvato, all’unanimità, dalla Commissione scientifica «Enrico De Nicola» del
Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, riunitasi a Lecce a metà
ottobre sotto la presidenza di Giovanni Conso e di Giuliano Vassalli, e con
l’adesione dei più autorevoli processualisti penali (da Ennio Amodio a Mario
Chiavario, da Gilberto Lozzi a Mario Pisani a Delfino Siracusano), molti dei
quali famosi avvocati.

Per quanto riguarda la progettata esclusione della appellabilità delle
sentenze di proscioglimento (dunque, anche di quelle dichiarative della
prescrizione del reato) a opera del pubblico ministero, si tratta di una
modifica che, presa a sé, risulta priva di una ragionevole spiegazione, anche a
causa della scarsa rilevanza statistica degli appelli del Pm. Essa, inoltre,
appare destinata a provocare un’ingiustificata disparità di trattamento a danno
dello stesso pubblico ministero (oltre che della vittima del reato costituitasi
parte civile, che ne segue le sorti), cui verrà sottratta, a differenza
dell’imputato, la possibilità di ottenere un secondo giudizio di merito, sulla
base di una scelta di discriminazione tra le parti di assai dubbia
costituzionalità, e tanto più incongrua quando la sentenza di primo grado
provenga da un giudice monocratico.

A questa improvvida innovazione si ricollega, quasi come una sorta di
riflesso compensatorio, la prospettiva di una enorme estensione dell’ambito del
ricorso per cassazione, fino a comprendervi qualunque caso di asserita
contraddittorietà o illogicità della motivazione (ancorché non emergente, come
oggi è previsto, dal testo del provvedimento impugnato), e inoltre qualunque
caso di mancata assunzione di una prova ritenuta decisiva (ancorché non
richiesta, come oggi è previsto, a titolo di «controprova»). Se così avvenisse,
per effetto della caduta del limite legislativo all’esame diretto del fascicolo
processuale da parte della Corte di cassazione, ne deriverebbe — come tutti
sanno, nel mondo giudiziario forense — un radicale snaturamento della fisionomia
della medesima Corte: da giudice della legittimità degli atti a giudice dei
fatti e della loro ricostruzione storica, con la conseguente trasformazione del
relativo giudizio in un terzo grado di giudizio di merito.

Inutile dire che, per questa via, a causa della inevitabile proliferazione
dei ricorsi (anche di natura dilatoria) e della difficoltà di rilevarne in via
preliminare la inammissibilità, verrebbe a determinarsi una situazione di
ingorgo non governabile della Corte di cassazione, con esiti devastanti per la
sua funzionalità: come hanno già da tempo denunciato con forza il primo
presidente Nicola Marvulli, il procuratore generale Favara e gli altri
magistrati della stessa corte. Anche prescindendo dalle congetture circa
l’esistenza di un concreto interesse, in capo ai soliti ben noti imputati (da
Berlusconi a Previti, ad altri ancora) verso l’immediata applicazione delle
nuove norme nei processi in corso, ce n’è abbastanza per auspicare una doverosa
pausa di ripensamento, rispetto al varo di una legge che potrebbe essere
esiziale, nella sua complessiva irragionevolezza, per il nostro sistema delle
impugnazioni penali.