ROMA – Due sono le lezioni che arrivano ai partiti di centrosinistra dalle
recenti elezioni: una lezione per l’Europa ed una per l’Italia.
Riguardo all’Europa la batosta complessiva dei socialisti è stata
troppo ampia e diffusa per non obbligare a ripensare al semplice
interrogativo se essi siano in grado di fare avanzare da soli il
complesso compito del riformismo europeo.
I
dubbi nascono anche dal fatto che questa diffusa disfatta avviene in un
momento di grave crisi economica con profondi disagi concentrati
soprattutto nelle categorie tradizionalmente rappresentate dagli stessi
partiti socialisti, a partire dai lavoratori di più basso livello e dai
precari.
Qualche
anno fa l’idea di pensare ad una nuova alleanza fra i progressisti
(chiamata forse troppo pomposamente ulivo mondiale) era stata scartata
come una proposta fuori dalla storia. Ho paura che quest’idea nella
storia ci debba ritornare, almeno per aiutare a rielaborare le proposte
che i diversi partiti socialisti hanno presentato ai loro elettori. E
ci debba ritornare con una forte e coraggiosa politica europea. Abbiamo
infatti assistito ad elezioni europee nelle quali le tesi degli
euroscettici erano chiarissime, mentre le voci dei filo-europei erano
flebili e non si concretizzavano in proposte precise.
La
lezione per il centrosinistra italiano è altrettanto chiara, anche se
maggiormente scontata in quanto i danni della frammentazione si erano
già resi evidenti nelle precedenti contese elettorali.
Per
il Partito Democratico in particolare il risultato, soprattutto
mettendolo a confronto con le cattive previsioni e con il relativo flop
del Pdl,è stato abbastanza buono da garantire la durata del partito
stesso. Ma è stato abbastanza cattivo per obbligare a quel grande
dibattito ideologico e programmatico di cui un nuovo partito ha
assolutamente bisogno. E che è finora mancato. Insomma la lezione
europea e la lezione italiana si intrecciano fra di loro e rendono
necessario un rinnovamento radicale.