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18 Gennaio 2006

Bruti Liberati: “A rischio l’autonomia, no ai tribunali speciali”

Autore: Giovanni Bianconi
Fonte: Corriere della Sera

ROMA — «Elude tutti i problemi reali, parla d’altro. L’efficienza del sistema giustiziario continua ad avere grandi difficoltà, le carceri scoppiano, ma lui è contento. Contento lui…». Per quattro anni, quasi l’intera legislatura, hanno duellato, a distanza più o meno ravvicinata, uno ministro della Giustizia e l’altro presidente dell’Associazione magistrati che ne contestava quasi ogni mossa. Ora Roberto Castelli conclude il proprio mandato con la relazione al Parlamento introdotta dal «suo» ordinamento giudiziario e Edmondo Bruti Liberati, che ha lasciato da pochi mesi la guida dell’Anm e sta per essere nominato procuratore aggiunto di Milano, commenta: «Alcuni aspetti della sua relazione, più che innovativi, appaiono surreali».


Innovativa sembra la proposta di assegnare il giudizio disciplinare sui magistrati a un organo esterno al Csm e quello penale a non meglio specificati «tribunali indipendenti».

«Appunto, non si capisce nemmeno che cosa abbia in mente. Sembra di capire che auspichi dei tribunali speciali, scelta che non ha precedenti e porrebbe a forte rischio l’indipendenza della magistratura.

Chi li nomina, il Parlamento? E come, con quali maggioranze? Tutto questo per intervenire in una situazione nella quale non si può certo dire che la giustizia ordinaria non sia stata rigorosa con i magistrati indagati o imputati. Quanto al giudizio disciplinare, portarlo fuori dal Csm non è solo un’idea del ministro. Io sono contrario, perché ci si muove sul confine delicatissimo tra i comportamenti deontologici e il contenuto degli atti giurisdizionali, che richiede molta prudenza e, non a caso, i costituenti avevano attribuito il compito all’organo di autogoverno. Pure l’avvocato Buccico (consigliere del Csm in quota An,

ndr) sostiene che la Sezione disciplinare funziona con imparzialità».


Castelli dice che è stata finalmente ristabilita la centralità del Parlamento e il riequilibrio dei poteri violato all’inizio degli anni Novanta.

«Più che degli anni Novanta parlerei dell’oggi. E in questa legislatura le tensioni tra magistratura e politica sono derivate soprattutto dal fatto che alcuni soggetti, tra cui un imprenditore privato che poi è diventato presidente del Consiglio, sono finiti sotto processo. Tutto nasce da lì, compresa gran parte della legislazione varata da questa maggioranza: dal falso in bilancio, di cui ora già si pensa a una riforma, allo scudo fiscale; dalle rogatorie, a cui solo l’interpretazione dei giudici ha evitato l’incostituzionalità, alla legge Cirami; dal Lodo Schifani, bocciato dalla Consulta, alla legge Cirielli. Ma il ministro, ancora una volta, parla d’altro».


Veramente una legge da voi contestata il ministro la cita: quella appena approvata che ha abolito l’appello dei pubblici ministeri contro le assoluzioni di primo grado.

«Sì, un accenno che suona davvero spudorato. Dice che porterà a una riduzione dei procedimenti in appello che sarà “presumibilmente compensata” dall’aumento delle pendenze in Cassazione. Ma le impugnazioni dei pm contro le assoluzioni sono statisticamente irrilevanti, mentre il carico che si avrà sulla Cassazione è così devastante che l’ha denunciato il primo presidente della Corte! Si tratta di una manipolazione gravissima, che un ministro dovrebbe risparmiarsi».


E non può essere orgoglioso della riforma dell’ordinamento giudiziario?

«Quella che Ciampi ha rinviato alle Camere per palese incostituzionalità di alcuni punti, fatto peraltro assai raro? Non mi pare che se ne debba andare così fieri, ma ancora una volta: contento lui…».


Dice che il Parlamento l’ha approvata resistendo a lusinghe, minacce e scioperi.

«Credo che le forme di espressione dell’associazionismo meriterebbero maggiore rispetto. Un simile giudizio, però, è indice dell’insofferenza mostrata da questo ministro per le opinioni degli esperti. È una sua caratteristica. Non a caso non ha mai voluto un confronto serio con la magistratura e, ancora adesso, appare infastidito dai pareri dei giuristi o dei magistrati europei».


Che cosa pensa della denuncia del rischio di abuso delle intercettazioni?

«Il ministro ha ripetuto la solita litania, senza mezza riga di analisi sui motivi per cui questo strumento è diventato così utilizzato rispetto ad altri Paesi a sistema accusatorio, che vanno dal peso senza eguali della criminalità organizzata alle norme del Codice di procedura penale. Lui si limita a censurare le motivazioni dei magistrati e io continuo a pensare che le censure ai provvedimenti spettino a giudici e tribunali, non al ministro».


Non condivide nemmeno la soddisfazione di Castelli per la diminuzione dei procedimenti penali e civili pendenti?

«Anche quando cita questo dato, il ministro si guarda bene dal dare atto ai magistrati che forse gran parte del merito è loro. Parla genericamente di “operatori di giustizia”: proprio non ce la fa a parlare bene dei giudici…».