Mancava solo lui, cioè Fausto
Bertinotti, a dare il via libera a Walter Veltroni. Ma adesso eccolo qui.
Anche perché il suo ok c’era già da qualche anno, cioè quando ancora si doveva
decidere chi sarebbe stato il leader dell’Unione che avrebbe sfidato
Berlusconi: e l’allora segretario di Rifondazione comunista disse nei suoi
colloqui privati che scegliendo Prodi «abbiamo perso l’occasione. Avevamo il
cavallo buono e invece l’abbiamo lasciato nelle scuderie…».
E oggi, è
ancora buono quel cavallo oggi? Secondo il presidente della Camera sì,
eccome. Buono come «leader del Partito democratico e pure come candidato premier
del centrosinistra». Anche se su questo secondo aspetto la prudenza è
d’obbligo: «E’ evidente che non basta un Principe, servirà discutere del
programma, dei contenuti, della nuova legge elettorale…». Però è evidente
che con Veltroni Bertinotti si sente a suo agio.Spiega infatti che il
sindaco di Roma «è un personaggio che parla un linguaggio nuovo, un politico
che anche se ha superato i cinquant?anni si propone come uno di nuova
generazione, capace di raggiungere punte di consenso popolare incredibili».
Insomma, «una grande novità, un candidato così naturale che semmai è
bizzarro che non sia stato scelto prima».
Stiamo parlando, per ora, di
Veltroni come segretario – anzi presidente – del Partito democratico. Un partito
che Bertinotti, al contrario di quel che si potrebbe pensare, vorrebbe forte
e ben definito. «Ben venga il Pd, e lo facessero pure presto. Walter gli può
dare quel profilo nettamente riformista che serve anche alla sinistra
alternativa per potersi a sua volta caratterizzare e lanciare la sua sfida.
Col suo arrivo nel Pd – spiega il presidente della Camera ai suoi
interlocutori – si convinceranno anche quelli ancora titubanti che la cosa
giusta da fare nel nostro campo è la Cosa rossa».E qui tocca aprire una
parentesi, perché il leader storico di Rifondazione continua a dimostrare la
sua insoddisfazione per la lentezza di tutta l’operazione. Non gli è
piaciuta per niente la polemica aperta dal gruppo dirigente del suo partito nei
confronti di Liberazione che martedì scorso aveva commentato la conclusione
della assemblea della Sinistra europea col titolo «Oltre Rifondazione?».
Bertinotti, quel punto interrogativo l’avrebbe addirittura tolto,
figuriamoci quanto piacere gli ha fatto la lettera del responsabile
organizzativo Francesco Ferrara che rimproverava al direttore Piero
Sansonetti di non rispettare la linea del partito. Un richiamo all’ordine
che non ha gradito né nel metodo né nel merito: «Se non hanno capito che
siamo già oltre Rifondazione, allora non hanno capito niente di quello che
ho detto finora».Chiusa la parentesi, eccoci a Veltroni candidato premier. Qui
Bertinotti si fa appena appena più prudente per due ragioni. La prima è che
chissà quando si andrà alle elezioni, e soprattutto se ci si andrà con
l?attuale Unione; la seconda è che con lui la sinistra radicale dovrà
discutere di tutto, proprio per evitare di ritrovarsi nella stessa
situazione di oggi che vede uno scontro aperto tra la Cosa rossa e il cosiddetto
timone riformista del governo. Tuttavia, il presidente della Camera
sottolinea che «con Veltroni a Roma, il mio partito ha avuto sempre
riconosciuto il suo ruolo». Spesso nota le differenze tra la gestione romana
e quella bolognese: «Nella capitale il sindaco si è sempre comportato in
maniera dialogante. Magari ha anche chiamato le ruspe per sgomberare i campi
nomadi, ma non prima di aver trovato un?intesa. Ha sempre lavorato per
stemperare le tensioni sociali». E non a caso definisce la politica del
Campidoglio «il laboratorio Roma».
Insomma ce n’è abbastanza per capire che
anche da Rifondazione arriva il via libera al sindaco d?Italia, tanto che lo
stesso Giordano sottolinea la sua «antica amicizia con Walter. Lui è il
candidato più autorevole, non solo per il Pd ma anche per Palazzo Chigi. E
chi sostiene che noi soffriamo la sua discesa in campo, dice una sciocchezza:
lui è il nostro interlocutore ideale, ognuno si tiene le rispettive identità
ma si lavora su un programma comune con uno che sa mediare». Analoga la
posizione del grande amico di Veltroni, Fabio Mussi: «A noi della Sinistra
democratica interessa che il Pd non fallisca e penso che al Pd interessi il
successo di una nuova aggregazione a sinistra. Perché se anche una sola di
queste due gambe non camminasse, vincerebbe Berlusconi».Un panorama dunque
idilliaco, arriva il salvatore della patria e tutti, dal centro alla
sinistra, applaudono felici? Fino a un certo punto, Giordano un paio di
avvertimenti li lancia: «Sappia Veltroni che noi non accetteremo mai forme
di semplificazione della rappresentanza». In altre parole? «No all?elezione
diretta del premier e no a una legge elettorale col doppio turno». In poche
parole? Proprio le due riforme che Veltroni considera decisive per poter fare il
premier.