ROMA – Così «commosso ed emozionato» da non trovare le parole giuste, a lui che in genere non difettano, per ricordare Nicola Calipari «senza il rischio della retorica». E così convinto che la sua morte segni il punto di non ritorno in Iraq, da lanciare un appello che farà sobbalzare la sinistra più radical. Per Fausto Bertinotti il ritiro delle nostre truppe «non ammette più rinvii» ma non è questione più di una mozione e non è neanche più un affare che riguarda soltanto l´opposizione: «Troviamo la forza di un atto di unità nazionale. E´ una chiave totalmente diversa rispetto al passato, perché completamente diversa è la situazione».
Onorevole Bertinotti, anche lei ha reso l´ultimo saluto a Nicola nella chiesa di Santa Maria degli Angeli.
«Ho provato una commozione intensa. Esce con un nitore tale la personalità di quest´uomo, che si teme perfino di usare parole retoriche per ricordarlo. Una persona straordinaria, con un senso democratico, repubblicano che perfino i francesi potrebbero invidiarci. Un senso della missione che dà una visione corale, unitaria».
Anche Gianni Letta ha parlato, ai funerali, di unità.
«Non vorrei per nulla aprire polemiche, ma una parola contro la guerra me la sarei aspettata. Come partecipazione non solo ad un lutto condiviso ma anche ad un valore ampio, profuso. E rappresentato proprio da un uomo che apparteneva ai servizi segreti, ovvero a settori con comportamenti in questi anni quanto meno discutibili. Mi fermo qui. Poi c´è l´altra questione, che riguarda la politica. E che pretende riposte».
Su che cosa?
«La politica chiede che questa uccisione sia assunta per quella che è: una questione nazionale. Le prime reazioni del presidente del Consiglio sembravano incoraggiare questa speranza. Ma le successive dichiarazioni di esponenti del governo sembrano, queste sì, indurre alle divisioni».
Si riferisce a Fini?
«Anche. Per il vicepremier si è trattato di “fatalità”. Ma la fatalità attiene alla natura, non agli eserciti, non alle forze armate. Ciò che fanno gli eserciti porta alla responsabilità di qualcuno. E la fatalità è indotta da un elemento che sovverte la volontà degli uomini e della politica: un teatro di guerra. Non solo. Sento anche mettere in discussione da più parti la linea – giustamente perseguita dal governo – della trattativa, di fare tutto il possibile per salvare una vita umana».
E´ stato un agguato?
«E´ stata la guerra, e per me è più che sufficiente. Penso che quando l´emozione, la solidarietà di una comunità in un lutto condiviso, finiscono, allora comincia la politica. E ci sono due parole che io spero, domani e non oggi, vengano dette. Pace e verità».
La pace.
«Non si dica, per favore, che si vuole dividere il paese. Ritirare le truppe da un teatro di guerra così inquinato, con una violenza così incontrollata, è una misura di salute pubblica. Il direttore di Liberazione ha scritto una cosa molto importante: ritiriamoci senza polemiche. Condivido in pieno».
Sta parlando di un ritiro graduale?
«No, è un´altra cosa. Il ritiro graduale riguarda la risoluzione dell´Onu, con la previsione di un rientro programmato di tutte le truppe di occupazione. E´ quel che, dal luglio scorso, sta scritto in tutti i documenti presentati in Parlamento dalle opposizioni. Adesso, sto parlando di una scelta nuova».
Quale?
«Il ritiro delle truppe italiane rappresenta un atto di salute pubblica che dovrebbe essere intrapreso qualunque sia stata la posizione assunta in precedenza».
Parla anche della maggioranza?
«Di tutti, del paese intero, come reazione ad un evento terribile. Il mio è un appello che dice: non facciamo polemiche, non torniamo alle discussioni che ci hanno diviso. Troviamo la forza di un atto di unità nazionale perché in Iraq siamo di fronte ad una situazione incontrollata».
La sua seconda speranza è: verità.
«C´è in discussione l´autonomia dello Stato nazionale. La possibilità di intraprendere iniziative politiche e diplomatiche, con l´obiettivo di salvare la vita a propri concittadini, può essere messa in discussione da una potenza che, peraltro, si dice nostra alleata. A Berlusconi chiedo uno scatto d´orgoglio nazionale, come avvenne a Sigonella».
Al governo c´era Craxi.
«Non l´ho mai avuto in simpatia, ma a Sigonella vi fu uno scatto di orgoglio del suo governo. In quell´atto si rilevò la dote di uno statista».
In Berlusconi non si è rivelata
«Lo chiedo».
Il premier ha convocato l´ambasciatore americano.
«Lo chiedo, lo scatto d´orgoglio. Nell´atteggiamento iniziale del presidente del Consiglio si poteva scorgere una propensione ad andare in questa direzione, gli atti successivi di esponenti del governo mostrano il contrario».
E la mozione sul ritiro, onorevole Bertinotti I comunisti italiani la ripresenteranno.
«Penso che non dobbiamo arretrare dai livelli di unità già raggiunti. Non si tratta solo di sbandierare qualcosa. Se il ritiro delle truppe è una misura di salute pubblica, va sostenuta con un largo respiro. Chi la pensa così, dovrebbe mettersi dentro un´iniziativa largamente unitaria, di contatti tra tutte le forze politiche, dispiegando una grande partecipazione. Poi, se non ci si riesce, si può benissimo arrivare alla mozione dell´opposizione».
Come ultima chance…
«Sì. Perché prima vorrei coinvolgere tutti, a partire dalle forze dell´opposizione, e chiedere con insistenza un grande dibattito parlamentare. La storia di Giuliana Sgrena e la morte di Nicola Calipari hanno davvero cambiato tutto».