Il contratto 2004 2005 dei dipendenti pubblici è in ritardo di più di un anno. Intanto, sono ancora aperte code contrattuali del biennio precedente.
Secondo l’Agenzia contrattuale del pubblico impiego, nell’ultimo quinquennio le retribuzioni contrattuali pubbliche sono aumentate del 13,1 per cento, contro il 10,9 per cento di quelle private. Secondo il consigliere economico del presidente del Consiglio dei ministri, le dinamiche effettive dei salari nel settore pubblico sono andate dai 2 ai 4 punti al di sopra dell’inflazione effettiva. Le richieste sindacali sono ben più alte degli aumenti concessi ai dipendenti privati del settore manifatturiero negli ultimi rinnovi contrattuali ( l’accordo del 1993 sembra, infatti, dimenticato). Intanto, il governo è diviso tra sostenitori del rigore ( e dell’equità) e difensori dei dipendenti pubblici.
In questo gran discutere, tre questioni critiche vengono, però, dimenticate: come si intende distribuire gli aumenti contrattuali; quale struttura si vuole dare alle carriere; come si pensa di assicurare i rimpiazzi del personale che esce.
Se gli aumenti contrattuali verranno distribuiti a pioggia, è meglio non darli. Gli aumenti dovrebbero premiare la produttività, che è in calo. E per fare questo bisogna cominciare a misurare le prestazioni e il costo del lavoro per unità di prodotto. Senza un calcolo della qualità e della quantità di servizi offerti, non c’è modo di valutare le prestazioni individuali. E senza il metro delle prestazioni individuali, con quale criterio si distribuiscono gli aumenti? Si ripete così un vecchio errore, di dare a tutti, senza riguardo a quanto e come lavorano, con il risultato di scontentare tutti, a partire dagli utenti, la cui insoddisfazione aumenta.
La politica neomalthusiana del pubblico impiego trova un forte appoggio nei dipendenti pubblici. Le organizzazioni pubbliche sono ormai piramidi rovesciate, perché le carriere si fanno tutte all’interno, mediante cosiddetti concorsi interni e progressioni per anzianità. Le risorse sono tutte concentrate sui livelli alti, in cui si concentra il personale. Per cui il consigliere economico del presidente del Consiglio dei ministri ha potuto parafrasare il noto motto di Nitti, che voleva « pochi e ben pagati » , dicendo che ora i dipendenti pubblici sono « troppi e ben pagati » .
La conseguenza ultima di questo circolo vizioso è l’invecchiamento degli uffici pubblici. Tra breve la metà dei dipendenti pubblici sarà composta da ultracinquantenni. Ai livelli inferiori vi sono solo titolari di incarichi esterni, detti anche consulenti e collaboratori coordinati e continuativi, pagati sui capitoli di bilancio destinati agli acquisti di beni e servizi. In alcune amministrazioni centrali dello Stato non si fanno concorsi per le funzioni direttive da un quarto di secolo. Da questa chiusura trae profitto anche il mondo politico, che è riuscito a portare da un terzo a due terzi, in pochi anni, la percentuale dei dirigenti generali che possono essere nominati dall’esterno della pubblica amministrazione.
Da questo presidente del Consiglio dei ministri, che non perde occasione per vantare la sua provenienza manageriale e criticare la burocrazia, ci si poteva aspettare una « cura alla Thatcher » . Perché non cerca almeno di dare gli aumenti a chi lavora di più e di riservare una parte dei fondi per bandire qualche concorso dove ce n’è più bisogno?