2222
24 Maggio 2005

Astensionismo relativo

Autore: Ilvo Diamanti
Fonte: La Repubblica

Colpisce il contrasto fra densità etica e realismo tattico, che caratterizza questa campagna referendaria. Fra la complessità delle questioni in gioco e la pragmatica semplificazione delle strategie adottate, dagli attori in campo. Da un lato, c’è la sostanziale radicalità dei temi, che scavano nei valori, nelle fedi, nelle identità e nelle basi della vita sociale. Il principio della vita, la natura del legame genitoriale, lo spazio della scienza e l’autonomia degli individui: oggi nella "procreazione"; domani, forse, di nuovo, in tema di aborto.

Dall’altra c’è la natura stessa dello strumento usato per "risolvere" le questioni. Il referendum. Che, da circa vent’anni, si riassume nell’alternativa fra abrogazione e astensione.

Perché, com’è noto, un referendum è valido se vi partecipa la maggioranza degli elettori aventi diritto. Chi intende vanificare gli obiettivi di un referendum, per questo, preferisce usare, sempre più spesso, l’astensione "patologica" – quel 20 di elettori che non vota mai – come un "bonus", da sfruttare trasformando il "no" in ulteriore "non-voto". È quanto è avvenuto anche in questa campagna referendaria. Oggi, come mostra il sondaggio condotto da Demos-Eurisko la settimana scorsa, il risultato si presenta ancora aperto, perché è ampia l’incertezza sulla partecipazione al voto. Quattro elettori su dieci, infatti, si dicono certi, o quasi, che andranno a votare. Gli altri, invece, si dividono equamente, fra chi è certo di astenersi e chi, invece, non ha ancora deciso che fare. Da ciò il paradosso, che vede la Chiesa "impegnata" a promuovere l’astensione. E, per questo, asseconda quella miscela di disagio e distacco, che pervade la società, su questi temi. Perché la tentazione astensionista, fra gli elettori, è alimentata da due diverse difficoltà. La difficoltà di comprendere le questioni poste dal referendum, che acuisce l’indifferenza. La difficoltà, per chi riesce a cogliere il senso dei problemi, di trovare risposte coerenti. Il che alimenta il dubbio soggettivo e suggerisce, alle persone, la "defezione" come via di fuga. Ciò spiega, in parte, perché il 70 degli elettori ammettano di seguire il dibattito sul referendum con grande disattenzione. Segnala distanza, ma anche scelta e autodifesa soggettiva, di fronte a problemi che scuotono la coscienza. Naturalmente, mancano tre settimane alla data del voto; e tre settimane di campagna elettorale possono contribuire a informare, chiarire, mobilitare. Anche a questo d’altronde, servono i referendum. A creare sensibilità, dibattito su "questioni" rilevanti per il nostro tempo. Tuttavia, l’impressione è che il dibattito resti sottotraccia, come protestano – a ragione – i radicali. Un po’ perché sui media gli viene attribuito uno spazio molto ridotto. Poi, perché i partiti, anche quelli di centrosinistra, si muovono in modo prudente, su questo terreno. Condizionati dall’orientamento dei loro elettori, che è, comunque, diversificato, nel merito. E dalla resistenza, generalizzata, fra i cittadini (come dimostra l’indagine) ad accettare l’indicazione dei partiti su questi argomenti. D’altronde, anche la Chiesa, che ha sostenuto la legge 40, sta affrontando la campagna elettorale senza enfasi. In nome del realismo politico, professato dal cardinale Camillo Ruini, fa pressione direttamente sugli attori politici, in Parlamento, come una lobby, mentre, in ambito sociale e politico, preferisce "astenersi". In tutti i sensi. Promuovere l’astensione elettorale significa, infatti, limitare il conflitto e la polemica. Perché ogni polemica e ogni conflitto – e ogni campagna militante – rischia di sortire l’effetto opposto. Alimentare l’interesse, la passione, la comprensione; e quindi incentivare la partecipazione elettorale, limitando l’astensione. D’altronde, sottolinea il sondaggio Demos-Eurisko, solo il 5 degli italiani si dice disponibile ad ascoltare le indicazioni della Chiesa sul referendum, mentre poco meno del 30 sostiene che la Chiesa dovrebbe "astenersi" – appunto – dall’intervenire su queste materie (e, in generale, dalle questioni politiche e legislative). Sei italiani su dieci, invece, riconoscono alla Chiesa il diritto di esprimersi, ma non di "vincolare" le scelte personali, che vengono, invece, ricondotte alla coscienza personale. Ritorna, così, la questione, già sollevata altre volte, riguardo al rapporto fra gli italiani e la Chiesa; fra gli italiani e la religione. Per molti cattolici, o meglio: per molti che si dicono cattolici, la religione è vissuta, espressa, in modo privatizzato. Come un codice di regole e di valori non prescrittivo, ma descrittivo: una sorta di mappa che permette alle persone di orientarsi, nella vita quotidiana e nella realtà sociale. Non come una bussola che fissa i punti cardinali dell’etica e della fede. Così, sulle questioni affrontate dal referendum e, più in generale, sui temi della bioetica, gli italiani si affidano alla coscienza (2 su 3), ma anche alla scienza (1 su quattro), assai meno alla Chiesa (6). Quasi per nulla agli attori politici (1).

L’astensione, oltre che una via politicamente legittima, appare, quindi, alla Chiesa, una scelta quasi necessaria. Per rassegnazione. Un modo di riconoscere che i cattolici che frequentano i riti e i luoghi della Chiesa sono una minoranza sociale. E che, anche fra di loro, è alta la componente dei teo-non: coloro che ascoltano i sacerdoti e i loro insegnamenti ma, all’atto pratico, fanno a modo loro. Decidono da soli. Non per altro, la componente più decisa a fare campagna referendaria, battendosi attivamente per le ragioni del "no" – in nome dei principi della bio-etica cristiana – sono gli "atei devoti", i teo-con del Foglio. Per questo, diventa interessante verificare se, come molti si attendono, il Papa interverrà, su queste vicende, nelle prossime settimane. In occasione della visita a Bari o della prossima assemblea della Cei. Lo temono, in particolare, i sostenitori del "sì". A torto. La parola di Benedetto XVI, ove risuonasse alta e forte, contribuirebbe ad alzare il grado di attenzione e di mobilitazione sul referendum. E attribuirebbe all’astensione il significato di una scelta "assoluta", militante. In contrasto profondo con il "dio relativo" degli italiani, ma anche con l’"astensionismo relativo" della Chiesa.