2222
4 Marzo 2005

Applausi e lacrime per il sì di Ingrao “Per una volta vinco un congresso”

Autore: Aldo Cazzullo
Fonte: Corriere della Sera

La voce di Pietro Ingrao, al telefono dalla sua casa di Roma, è incredula: « Davvero hanno aperto il congresso di Rifondazione con la mia lettera? » . Davvero. « E chi l’ha letta? » . Bertinotti, di persona. Alla fine piangeva. « È caro, Fausto.
Gli sarà piaciuto il passaggio in cui mi riconosco nel suo elogio della non violenza.
Non l’ho pensata sempre così, in passato.
E gli altri come hanno reagito? » . Tutti in piedi ad applaudire. « Solo applausi, neanche un fischio? » . Neanche uno. Girava una battuta: è la prima volta che Ingrao vince… « un congresso? Ah ah ah! È una battuta valida. Se è andata così, è davvero la prima volta che vinco un congresso… » L’ex presidente della Camera, il decano 90 anni il 30 marzo del Pci, non ha perso l’autoironia. La sua voce è felice ma incredula. « È sicuro che si siano alzati tutti? » . Quasi tutti.
Ventinove file. La prima fila no, è rimasta seduta. « E chi c’era in prima fila? » .
Prodi, Parisi, Rutelli, Fassino. « È legittimo. Anzi, è giusto che siano rimasti seduti. La pensiamo diversamente. Mi iscrivo a Rifondazione, mica ai Ds. Con Fassino e con gli altri ci conosciamo, ci rispettiamo, ma tra noi ci sono molte ragioni di dissenso.
Sull’America, per esempio » . La lettera con cui lei chiede la tessera di Rifondazione ha passaggi aspri sul « nuovo imperialismo americano » . Lei scrive che l’impero agiva « su una legittimazione a volte bassamente, cinicamente fraudolenta, ma che dava poteri con cui dirigere e controllare addirittura nazioni e continenti » .
E che ora l’impero è andato oltre, sino alla guerra « esaltata nella sua capacità salutare e preventiva » . Parole dure. « Dure perché la guerra preventiva è una novità inquietante. Che mi ha spinto a riprendere l’antica lotta, a scegliere un vincolo così forte come l’appartenenza a un partito, che ha segnato tanta parte della mia vita » . Anche Prodi era contro la guerra preventiva, ma ora ha colto un’evoluzione in Bush. Welcome Mr President, ha scritto.
« Ho visto la lettera al Corriere . Stimo Prodi, però sono molto distante da questa sua apertura. Ma mi dica, chi c’era ancora al congresso? » . Cossutta. Ma appena Bertinotti ha iniziato la relazione se n’è andato. « Cossutta non è stato mai dalla mia parte » . E poi Intini e Villetti, i socialisti. Dicono che la loro storia è diversa dalla sua, però la stimano anche perché, raccontano, lei non è mai stato un comunista ortodosso, piuttosto un eretico. « Diciamo un turbolento. Lo sono sempre stato, si figuri ora che sono un vecchiaccio… » .
Il più celebre tra i tanti congressi comunisti persi da Ingrao fu l’undicesimo. Roma, 1966. « Lo ricordo come lo scontro più duro. È un ricordo amaro, perché venni sconfitto pesantemente, e anche maltrattato. Eppure ritengo tuttora di aver avuto qualche ragione. Ponevo la questione della dialettica interna al partito, del diritto al dubbio, della facoltà di dissenso. E avevo una visione del futuro del capitalismo diversa da quella di Amendola. Giorgio parlava di capitalismo straccione. Io di neocapitalismo, che mi pareva pericoloso.
Come poi si è visto, su entrambi i punti avevo davvero qualche ragione. Per evitare troppi guai feci leggere prima la relazione al segretario, Luigi Longo, che non fece obiezioni. Dopo però fui maltrattato, anche da compagni con cui c’era molta stima. Alicata chiese di esonerarmi dalla direzione. Pure Pajetta, Laconi, Amendola mi attaccarono. Molti che condividevano le mie idee dovettero lasciare. Luigi Pintor fu mandato in Sardegna, la sua terra natia. Oggi invece… sul serio la mia lettera è piaciuta? » . Sul serio: applausi e lacrime.
In particolare al passaggio sul ” groppo in gola” con cui ha visto « piazze ricolme di una generazione a volte giovanissima balzare in testa ai cortei… » . Ma perché è così incredulo, presidente? « Vede, è esistita una frazione nel Pci, gli ingraiani. Parevano sempre tanti; ma non lo erano. Ci voleva coraggio, a criticare il centralismo democratico. Il nostro era un partito duro.
Ma io non mi sono mai doluto di essere trattato con durezza » .
Poi vennero i congressi di fine stagione.
« Quando Occhetto alla Bolognina parlò per la prima volta di cambiare nome al Pci io ero in Spagna. Ai funerali di Dolores Ibarruri. La Pasionaria. Il segretario mi telefonò e io gli espressi fin da subito il mio dissenso. Lui mi chiese di attendere prima di renderlo pubblico. Ho seguito entrambi i congressi che fecero nascere il Pds, mi sono opposto strenuamente, ma sono stato sconfitto ancora. Così un giorno presi la parola, alle Frattocchie, per dire che uscivo. È una storia pesante, la mia, la nostra » . Ora la lotta ricomincia.
Un’altra tessera con la falce e il martello, una nuova militanza. « La lotta non è mai finita. È la storia, che ricomincia. Torno a impicciarmi di politica » .
« Mi sono rivolto a Ciampi due volte, per far valere l’articolo 11 della Costituzione. Prima da solo, poi con un appello pubblicato da Liberazione, che ha voluto mettere la mia firma in testa a quella di trenta intellettuali e giuristi.
L’Italia può combattere solo guerre di difesa, e quella in Iraq non lo è. Però non ho avuto risposte. Forse è giusto: io sono quidam de populo. Cosa vuole che conti » .
Precisa però Ingrao che non è stata solo la guerra preventiva di Bush a scuoterlo, ma anche la necessità di formulare una risposta che non si prestasse a equivoci.
Nella sua lettera scrive di una « guerra tragicamente contrastata da un disperato e sanguinoso terrorismo » . Terrorismo, non Resistenza: « Dobbiamo allargare la lotta per la liberazione degli oppressi e al tempo stesso difendere la pace nel mondo anche dalla risposta terroristica » . Per questo Ingrao continua a chiedere se davvero tutti i compagni erano d’accordo: « Perché la frammentazione non mi piace. Siamo in una fase delicatissima, di rischi e di debolezze, non solo in Italia. Occorre una politica unitaria » . E per questo, in fondo, è contento che ad ascoltare le sue parole scritte da lontano ci fossero tutti i leader del centrosinistra, sia pure seduti. « Non è il momento di agitare ognuno la propria bandiera. Manteniamo le differenze, ma troviamo anche punti di vista comuni. Ad esempio la non violenza » . È così che si vincono i congressi.