Se esercitato nel modo giusto, il papato apre grandi possibilità non solo alla Chiesa ma a tutto il mondo cristiano. Questa è sempre stata la mia opinione. Ed è confermata dall´immensa ondata di pellegrini accorsi in Vaticano in queste ultime settimane in occasione della morte e delle esequie di Giovanni Paolo II: un afflusso che ha colto di sorpresa la stessa Curia romana.
Sarebbe riduttivo voler spiegare tutto questo solo con l´attrazione mistica esercitata da Roma, con un misto di sensazionalismo e religiosità o con le possibilità offerte oggi dal turismo di massa. Ma è altrettanto riduttiva l´idea che quest´effetto suggestivo sia da attribuire al pontificato in quanto tale, piuttosto che alla personalità indubbiamente straordinaria di Karol Wojtyla. Sarebbe difficile immaginare qualcosa di simile se al suo posto ci fosse stato, a esempio, un uomo come il cardinale Ratzinger.
A mio parere, è di grande importanza il fatto che milioni di persone abbiano visto nel papa una figura credibile, in cui hanno potuto identificarsi. Nell´era post-industriale sono assai rare le personalità dotate di questo tipo di credibilità, sia in campo culturale che nella politica e nel mondo economico. Questo papa, che nei cento e più viaggi compiuti nei ventisei anni del suo pontificato ha raggiunto un numero sterminato di persone, ha rappresentato evidentemente per molti un´autentica figura paterna, e ha saputo offrire un sostegno chiaro, determinato e coerente alle loro convinzioni e al loro credo.
Giovanni Paolo II ha reagito al vuoto di senso del mondo post-moderno indicando un orientamento. Ha reso più visibile la dimensione religiosa anche agli occhi dei laici. Ma a fronte dei problemi più complessi, non ha proposto soluzioni troppo semplici? Con le sue visite, ha accresciuto l´autostima delle nazioni più piccole e quella dei singoli individui. Ma ha potuto trarne motivo d´orgoglio anche un dittatore come Augusto Pinochet – che di fatto non ha mai cercato d´ostacolare la diffusione della dottrina papale. E infine, quest´uomo che ha sopportato tante sofferenze ha toccato il cuore di molti.
Ho il più profondo rispetto per il lutto di chi piange papa Wojtyla, e in particolare dei tanti pellegrini venuti dalla Polonia – una buona metà della folla affluita a San Pietro – dato che nel suo Paese Giovanni Paolo II è anche un eroe nazionale. Ma questo papa, che ha sempre esortato a vivere la propria interiorità nel silenzio e nella preghiera, non ha forse inscenato, con la sua sepoltura in mondovisione, la più colossale “esternazione” del messaggio cristiano mai avvenuta nella storia della Chiesa, tanto che davanti alla sua salma si è raccolto in preghiera persino un bellicista come George W. Bush, o un Robert Mugabe, che ha calpestato i diritti umani. Questo papa mediatico non ha forse finito per essere sempre più prigioniero dei media, fino al passo estremo della morte e della sepoltura?
E tuttavia, al cospetto di milioni di pellegrini venuti a Roma da ogni parte, ma soprattutto dalla Polonia e dall´Italia, per partecipare alle esequie del papa, non si deve concludere che i molti milioni di telespettatori di tutto il mondo abbiano condiviso gli stessi sentimenti. È vero anzi l´opposto. Il pubblico più critico è contrariato dal trionfalismo di un culto della personalità più adatto a un imperatore romano che al vicario di Gesù di Nazareth. Già prima delle esequie, numerosi cattolici, e a maggior ragione moltissimi ortodossi, protestanti e anglicani hanno stigmatizzato i rituali eccessivi e la “papalatria”, o idolatria del defunto pontefice. E c´è chi ha denunciato una colossale azione di propaganda del Vaticano, deplorando l´acriticità di gran parte dei commenti televisivi. Peraltro, molti dei convenuti alla cerimonia funebre, pur ammirando la personalità e il carisma del papa, non condividono alcuni punti del suo messaggio. Anche se evidentemente hanno ritenuto più importante poter partecipare a un “evento” spirituale tanto spettacolare, voluto e pianificato dallo stesso papa Wojtyla e messo in scena con magnificenza dalla Curia romana, che seguire i suoi precetti.
Tutto questo pone più che mai in primo piano gli interrogativi sul significato del papato. Quale dovrebbe essere, nella sua essenza, la missione di un papa del XXI secolo? Quale il profilo del futuro papa?
Molti cattolici non vorrebbero un papa antimodernista, legato ai precetti medievali del diritto ecclesiastico più che al messaggio evangelico che a fronte dei problemi di oggi ci indica la via della libertà, della carità, dell´umanità. Sperano in un papa che non si limiti a rivendicare la libertà di diffondere la propria dottrina, ma rispetti anche la libertà di quelle altrui. Dal prossimo papa, l´88% della popolazione tedesca (secondo un sondaggio realizzato il 7 aprile dal 1° canale della tv) si aspetta soprattutto una serie di riforme all´interno della Chiesa; e si può presumere che altrove le aspettative siano analoghe.
Numerosi vescovi sperano nella nomina di un confratello animato da spirito collegiale e non autocratico: uno di loro, inserito nel collegio dei vescovi, seppure investito di un ruolo di guida, e sensibile alle esigenze delle Chiese locali. Un papa che abolisca il centralismo di Roma e consenta al Sinodo dei vescovi di partecipare alle decisioni, riconoscendo maggiore autonomia alle Conferenze episcopali nazionali.
Centinaia di milioni di donne cattoliche si augurano che il futuro papa – benché eletto da soli uomini, ed esclusivamente tra candidati di sesso maschile – contribuisca a realizzare la parità tra i generi postulata dal Vangelo. Un papa che rinunci alle sentenze rigoriste sulle questioni di etica sessuale, che sospenda il discriminatorio divieto di matrimonio imposto ai preti, promuova il ruolo dei laici e apra la strada alla necessaria discussione sul sacerdozio femminile.
Numerosi teologi cattolici auspicano un papa aperto al pluralismo nella dottrina e nella ricerca teologica, che privilegi il dialogo e rinunci alla tutela in campo dottrinale. Un papa che apra le cattedre di teologia a un numero crescente di donne, spianando così ai giovani dei due sessi la via della teologia e del servizio alla Chiesa.
Numerosi cristiani di tutte le Chiese sperano in un papa attivo in campo ecumenico, capace di tradurre risolutamente in realtà le raccomandazioni formulate da tempo dalla Commissione per il dialogo ecumenico. E che riconosca finalmente, secondo quanto è stato raccomandato, i ministri protestanti e anglicani, promuovendo attivamente l´ospitalità eucaristica fino alla condivisione dell´eucaristia, peraltro praticata già da tempo in numerosi gruppi e comunità.
Molti formulano voti per un papa aperto al mondo, che dia un contributo costruttivo alla soluzione di problemi mondiali pressanti quali l´esplosione demografica o la diffusione dell´Aids. Un papa che al di là della sua autorità dottrinale non si ritenga in possesso del monopolio della verità, e si mostri disposto a rispondere anche alle domande più scomode.
In due parole, abbiamo bisogno, più che di una figura mediatica, di un papa pastorale. Un papa che ponga al centro della sua attenzione gli innumerevoli gruppi e individui emarginati nel seno stesso della Chiesa cattolica, e trovi soluzioni coraggiose ai molti problemi che si sono accumulati al suo interno.
Oggi il senso del papato, la missione del Successore di Pietro non può essere il dominio sulla Chiesa e sul mondo cristiano, ma sarà sempre e solo il servizio: il primato pastorale del servizio, in un rinnovato impegno per la libertà alla luce del Vangelo.
L´autore è uno dei maggiori teologi contemporanei.
Copyright New York Times
la Repubblica
Traduzione di Elisabetta Horvat