2222
3 Luglio 2007

Afghanistan Vittime civili, il rischio boomerang

Autore: Franco Venturini
Fonte: Corriere della Sera

Secondo
l’Onu, sono 314 i civili afghani uccisi per errore dall’inizio dell’anno. Troppi

perché la loro ombra non pesi come un macigno sulla conferenza romana che
vorrebbe incentivare giustizia e stato di diritto a Kabul. Troppi per non
irritare il presidente Karzai, per non mettere in imbarazzo l’Onu e ancor
più la Nato, per non resuscitare le voglie di ritiro della nostra sinistra
radicale e per non far dire al ministro Parisi che «se non sappiamo sparare
è meglio astenerci». La questione, purtroppo, è più complicata di così e
promette di condizionare in maniera decisiva il futuro della presenza
alleata in Afghanistan.La Nato, per cominciare. In guerra non è possibile
evitare del tutto quelli che vengono chiamati danni collaterali né è mai
esistito un conflitto senza vittime civili.

Ma se il ritmo degli «incidenti»
subisce una continua accelerazione come capita in Afghanistan, e se il
numero dei morti supera il livello di guardia umanitario e politico, allora
il problema cambia aspetto. Un’Alleanza di democrazie che vuole portare
ordine e democrazia non può mettere tranquillamente in conto la morte di
centinaia di innocenti. Ne va della sua stessa natura, della credibilità dei
suoi valori anche in tempo di guerra e, in Afghanistan, dell’efficacia di
una missione che dovrebbe puntare al consenso della popolazione per
allontanarla dai Talebani. Dunque, nella strategia di alcune componenti Nato
(l’aviazione americana in primo luogo) un cambiamento è necessario.Un
secondo aspetto riguarda i Talebani e i loro amici narcotrafficanti. A
costoro non sono di sicuro sfuggite le difficoltà della Nato, ed è
perfettamente credibile che gruppi di guerriglieri usino metodicamente i
civili come «scudi» contro le incursioni aeree alleate. Per neutralizzare
questa tattica nelle province calde del Sud bisognerebbe aumentare le forze
di terra, in modo da rendere meno necessari gli imprecisi (e troppo disinvolti)
interventi dall’aria.

E’ possibile farlo? La risposta è negativa, ed è ben
conosciuta dalla Nato. L’Alleanza ha sudato sette camicie per ottenere i
rinforzi terrestri minimi di cui aveva bisogno, ma a Bruxelles tutti sanno
che sarà quasi impossibile andare oltre. Ciò vale anche in Italia (come in
Germania, in Francia, in Spagna) perché realtà politiche e opinione pubblica
non lo consentirebbero.La conclusione è nel contempo chiara e complessa. Occorre
reimpostare, finché si è in tempo, l’insieme della presenza alleata in
Afghanistan. Dal punto di vista degli aiuti e della ricostruzione, come si è
detto tante volte, ma anche dal punto di vista squisitamente strategico e
militare.Non si tratta, e su questo gioverà ripeterci, di pensare a un
ritiro. Chi accosta l’Afghanistan all’Iraq dimentica come e per quali motivi
è nata la missione a Kabul dopo gli attentati dell’11 settembre, così come
chi invoca il ripiegamento (una parte della nostra maggioranza di governo) non
si pone il problema di restituire l’Afghanistan a forze che hanno protetto o
esercitato al di là di ogni dubbio il terrorismo internazionale. No, l’Isaf
non può alzare una bandiera bianca che avrebbe il significato di un suicidio
a scoppio ritardato. Ma può, e davanti agli ultimi fatti deve, riesaminare
le sue tattiche e le conseguenze relative.

La conferenza sulla giustizia
organizzata dalla nostra diplomazia è importante e meritoria. Ma più urgente
ancora sarebbe una conferenza inter-alleata per fissare traguardi e codici
di condotta comuni, per prevenire fratture o dannosi distinguo nel fronte
Nato, per evitare insomma che un impegno irrinunciabile diventi un boomerang
macchiato di sangue innocente. Ne risulterebbe forse una missione meno
ambiziosa, di containment edi difesa attiva di posizioni forti più che di
controllo globale del territorio (peraltro mai raggiunto). Ma ne guadagnerebbe
il realismo dell’impresa, e con esso la sua credibilità a lungo termine. E
morirebbero meno civili.